31 Gennaio 2018

Violazioni in materia di reverse charge: il comma 9-bis – II° parte

di EVOLUTION
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Come per tutti i principali articoli del D.Lgs. 471/1997 (di seguito anche “decreto”), l’articolo 15 del D.Lgs. 158/2015 ha modificato, sempre con effetto 1/01/2016, anche l’articolo 6, recante la disciplina della “violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Sanzioni”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo si occupa del trattamento sanzionatorio applicabile al cessionario o committente che omette di porre in essere, in tutto o in parte, gli adempimenti connessi con il reverse charge.

Il comma 9-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997 ha introdotto la sanzione amministrativa ricompresa tra 500 e 20.000 euro a carico del cessionario o committente che omette di porre in essere, in tutto o in parte, gli adempimenti connessi con il reverse charge.

In precedenza la medesima violazione era punita con una sanzione compresa tra il 100% e il 200% dell’imposta non correttamente assolta, con un minimo di 258 euro.

La previsione torna applicabile in tutte le ipotesi di omissione, vale a dire sia nei rapporti con soggetti residenti (R.C. cd. “interno”), che in quelli con soggetti non residenti (R.C. cd. “esterno”), rimanendo irrilevante, in questo secondo caso, che debba operativamente essere emessa una autofattura in senso proprio (ad esempio per l’acquisto di un servizio rilevante in Italia da un soggetto extra UE) oppure essere integrata la fattura ricevuta dalla controparte (ad esempio per l’acquisto di un bene da un operatore comunitario).

La nuova misura sanzionatoria, pur essendo fissa, contempla un rapporto tra il massimo e il minimo edittale pari a 40: ciò, oltre a destare non poche perplessità sul piano strettamente concettuale, di fatto, in presenza di sanzioni irrogate in misura prossima a quella massima, rischia di punire in maniera molto pesante, oltre che arbitraria (dato l’amplissimo range disponibile), delle violazioni che, è bene sottolinearlo, hanno sempre natura formale.

Qualora l’operazione oggetto di inversione contabile non risulti annotata nella contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi, cioè se il contribuente ha effettuato l’acquisto “in nero”, trova applicazione la sanzione proporzionale tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.

In ordine alla base di commisurazione della sanzione, la circolare AdE 16/E/2017 ha confermato le indicazioni precedentemente impartite con la risoluzione 140/E/2010, chiarendo che “la sanzione compresa tra il 5 e il 10 per cento vada commisurata all’importo complessivo dell’imponibile relativo alle operazioni soggette all’inversione contabile riconducibili a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riguardo a ciascun fornitore; laddove l’irregolarità si realizzi in più liquidazioni, si configureranno tante violazioni autonome da sanzionare per quante sono le liquidazioni interessate”.

Il terzo periodo del comma in rassegna prevede, forse in maniera un po’ pleonastica, che, qualora il mancato assolvimento del R.C. comporti un’indebita detrazione d’imposta, ad esempio perché il contribuente risulta inciso da pro rata e non può quindi detrarre interamente l’imposta oggetto di inversione contabile, tornano (ovviamente) applicabili le ordinarie sanzioni in materia di infedele dichiarazione di cui all’articolo 5, comma 4, del decreto, e di illegittima detrazione ai sensi del comma 6 dell’articolo 6.

L’ultimo periodo del comma 9-bis disciplina infine il caso in cui il cedente o prestatore abbia omesso di emettere fattura soggetta a R.C., ovvero ne abbia emessa una irregolare, prevedendo una particolare procedura di regolarizzazione a carico del cessionario/committente, in assenza della quale troveranno per quest’ultimo applicazione tutte le regole sanzionatorie del medesimo comma 9-bis.

In dettaglio, nel caso di mancata emissione della fattura entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione ai sensi dell’articolo 6 del decreto IVA, oppure nell’ipotesi di emissione di fattura irregolare da parte del cedente/prestatore, il cessionario/committente deve informare il proprio Ufficio competente entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo ad emettere la relativa fattura ai sensi dell’articolo 21 del D.P.R. 633/1972 e ad assolvere, entro il medesimo termine, l’imposta mediante inversione contabile.

In pratica, il cessionario/committente che non ponga in essere la predetta procedura di regolarizzazione sarà sanzionato (in caso di mancato ricevimento della fattura), per la specifica violazione in materia di reverse charge, in misura proporzionale tra il 5% e il 10% dell’imponibile non regolarizzato, oltre che, eventualmente, per l’infedele dichiarazione e l’illegittima detrazione (nella particolare ipotesi sopra considerata).

Secondo la disciplina in vigore sino al 31/12/2015, invece, anche in questa ipotesi la mancata regolarizzazione da parte del cessionario/committente era sanzionabile secondo la regola sancita dal precedente comma 8 dell’articolo 6.

A questo riguardo la circolare AdE 16/E/2017 osserva che “nella fattispecie, quindi, non trova più applicazione la sanzione pari al 100 per cento dell’imposta, con un minimo di 250 euro, prevista dall’articolo 6, comma 8, in caso di mancata regolarizzazione di operazioni imponibili – che risulterà applicabile esclusivamente per le operazioni non soggette a reverse charge, avendo ora il legislatore previsto uno specifico e più lieve trattamento sanzionatorio per l’omessa regolarizzazione delle operazioni soggette all’inversione contabile”.

In ordine a questo passaggio del documento di prassi, che dà per scontato che l’attuale regime sanzionatorio sia più mite rispetto al precedente, si rileva come tale indicazione non sia vera in assoluto, ma debba essere verificata caso per caso.

E ciò non solo per l’incremento del minimo edittale della sanzione, che è passato da euro 258 ad euro 1.000 e che rende già di per sé evidente almeno un’ipotesi in cui il regime previgente è più favorevole rispetto all’attuale, ma anche perché è cambiata la base di commisurazione della sanzione, che, in precedenza, era rappresentata dall’imposta, mentre ora è costituita dall’imponibile.

Ad esempio, ipotizzando che l’operazione non documentata in R.C. sia pari a 10.000 euro, l’attuale regime è più favorevole rispetto al precedente se l’aliquota applicabile è quella del 22%, mentre è peggiorativo se l’aliquota dell’operazione è al 4%. Nel primo caso, infatti, l’attuale sanzione sarebbe pari a 1.000 euro (minimo edittale) contro quella previgente di 2.200 euro (100% dell’imposta); nel secondo caso, invece, l’attuale sanzione rimarrebbe pari a 1.000 euro (minimo edittale), ma quella previgente ammonterebbe a 400 euro (100% dell’imposta).

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

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