Rapporto tra regime del margine e reverse charge per i beni usati
di Marco PeiroloPer i beni d’occasione di provenienza intracomunitaria occorre stabilire, in funzione del regime applicato all’acquisto, se la rivendita sia soggetta al regime ordinario o a quello del margine. Laddove, poi, si tratti di beni rientranti nel sistema di inversione contabile si pone l’ulteriore dubbio relativo alla disciplina prevalente, se sia cioè quella del reverse charge o quella del margine.
Dal punto di vista normativo, non solo comunitario ma anche nazionale, le disposizioni che disciplinano gli acquisti intracomunitari da parte degli operatori economici vanno coordinate con quelle relative al regime del margine, previsto per i rivenditori di beni usati.
Nella prospettiva interna, l’articolo 37, comma 2, D.L. 41/1995, nel regolamentare i rapporti di scambio dei beni d’occasione con soggetti di altri Stati membri, stabilisce che le relative operazioni, effettuate con l’applicazione del regime speciale, non hanno natura intracomunitaria, sicché devono essere assoggettate ad imposta nello Stato del cedente, a prescindere peraltro dallo status del cessionario (soggetto IVA o privato consumatore). In modo esattamente speculare, gli acquisti di beni usati effettuati dai soggetti italiani, per i quali l’imposta è applicata nello Stato membro di provenienza in base al regime del margine, non rivestono carattere intracomunitario neppure nell’ipotesi in cui il cessionario nazionale operi nell’esercizio di un’attività economica e questo, come indicato dalla circolare 40/E/2003, al fine specifico “di evitare una doppia imposizione su beni usati il cui acquisto da parte del rivenditore avviene sulla base di un prezzo già comprensivo di Iva, che non è possibile detrarre in quanto non autonomamente evidenziata”.
A fronte, pertanto, di un’operazione che nello Stato di origine non dà comunque luogo all’esposizione dell’Iva in fattura, in sede di successiva rivendita dei beni usati l’operatore italiano può applicare il regime speciale nel solo caso in cui, a monte, il cedente non residente si sia avvalso del medesimo regime, che risulta però meno conveniente dal punto di vista economico per il rivenditore nazionale rispetto al regime proprio degli scambi intracomunitari di beni, basato sull’imposizione “a destino” con la procedura di inversione contabile.
Da ciò deriva, come sottolineato dall’Agenzia nel richiamato documento di prassi, “che, in caso di acquisto di autoveicoli usati da parte di soggetto Iva nazionale, presso un operatore di altro Stato membro, è necessario verificare preliminarmente se il cedente comunitario, che comunque emette fattura senza esposizione dell’imposta, abbia effettuato una cessione con utilizzo del sistema del margine o, piuttosto, abbia realizzato una vera e propria cessione intracomunitaria. Infatti, mentre nel primo caso il corrispettivo è già comprensivo di Iva, nell’ipotesi di cessione intracomunitaria l’imposta non risulta applicata in quanto il bene deve assolvere l’Iva nel Paese di destinazione, imponendo al cessionario italiano l’adempimento degli obblighi previsti dagli art. 46 e seguenti del D.L. 331 del 1993 (integrazione della fattura di acquisto, registrazione della stessa, ecc.)”.
Fermo restando che lo stesso onere di diligenza deve essere osservato dal rivenditore italiano per qualunque tipologia di bene d’occasione, l’ulteriore aspetto da considerare è quello riguardante il rapporto tra i regimi del margine e di reverse charge, quest’ultimo previsto per i beni elencati negli articoli 17 e 74 D.P.R. 633/1972.
In riferimento al sistema di inversione contabile applicabile ai rottami ferrosi e non ferrosi e agli altri materiali di recupero, ex articoli 74, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 633/1972, la circolare n. 28/E/2004 (§ 12.3.1) ha precisato che, alle cessioni dei beni in esame, “si applica il meccanismo del reverse-charge sempreché gli stessi beni necessitino di un’ulteriore fase di lavorazione e trasformazione e non siano utilizzabili di per sé secondo l’ordinaria destinazione”.
A questa indicazione deve essere attribuita valenza generale, applicandosi a tutte le tipologie di beni soggette al meccanismo dell’inversione contabile (es. telefonini, console da gioco, tablet PC e laptop).
Viceversa, i beni usati suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione vanno assoggettati al regime del margine, essendo a tal fine richiesto che i medesimi siano stati precedentemente acquistati presso privati, cioè soggetti che non agiscono nell’esercizio d’impresa, arte o professione e che, pertanto, non rivestono la qualifica di soggetti Iva, ovvero presso operatori economici assimilati ai privati ai sensi dell’articolo 36, comma 1, D.L. 41/1995, tra cui sono compresi i soggetti passivi, nazionali o comunitari, che hanno applicato, a loro volta, il regime del margine.
In definitiva, se il bene usato è stato precedentemente oggetto di acquisto intracomunitario, in fase di rivendita si applica il regime ordinario (addebito dell’Iva in fattura) o quello di inversione contabile, in quest’ultimo caso se il bene necessita di un’ulteriore fase di lavorazione e trasformazione e non sia utilizzabile di per sé secondo l’ordinaria destinazione. Nell’ipotesi, invece, in cui il bene usato sia stato acquistato presso un operatore non residente che ha applicato il regime del margine, la rivendita resta soggetta al medesimo regime speciale, salvo che – come detto – il bene richieda un’ulteriore fase di lavorazione e trasformazione e non sia utilizzabile secondo l’ordinaria destinazione, nel qual caso va assoggettato a reverse charge.
Naturalmente, se il cessionario finale non agisce in qualità di soggetto passivo d’imposta, la fattura dovrà essere emessa con addebito dell’Iva se non risulta applicabile il regime del margine.