2 Febbraio 2018

La registrazione incrociata delle note di credito Iva

di EVOLUTION
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In via generale, tutte le operazioni rilevanti ai fini IVA devono essere documentate attraverso l’emissione della fattura. A fianco a tale obbligo è prevista la rettifica, da parte del cedente/prestatore, delle operazioni una volta che la fattura sia stata annotata nel registro delle fatture emesse, distinguendo l’obbligo di emissione della fattura integrativa (nota di debito) dalla facoltà di emissione di una nota di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta (nota di credito).
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Iva”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo analizza la procedura della registrazione incrociata delle note di credito anche alla luce dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 1/E/2018.

L’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972 prevede un sistema di regolarizzazione consistente nell’annotazione della variazione – che deve risultare da apposita documentazione – da parte del cedente/prestatore nel registro degli acquisti (di cui all’articolo 25, D.P.R. 633/1972) e la conseguente necessaria annotazione della variazione medesima da parte del cessionario del bene o committente del servizio nel registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi (di cui agli articoli 23 o 24, D.P.R. 633/1972).

In base all’articolo 26, comma 3, D.P.R. 633/1972, lo stesso procedimento di variazione può essere applicato, prima però che sia trascorso un anno dall’effettuazione dell’operazione, anche nei casi:

  • di emissione della fattura per operazioni inesistenti, per i quali l’imposta addebitata in rivalsa al cessionario/committente resta comunque dovuta nei confronti dell’Erario ai sensi dell’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972, oppure
  • di indicazione in fattura del corrispettivo o dell’imposta in misura superiore a quella reale.

Il citato secondo comma dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972 consente al cedente/prestatore di portare in detrazione, ai sensi dell’articolo 19 dello stesso decreto, l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25 cosi come modificato dall’articolo 2, comma 2, della D.L. 50/2017 convertito nella L. 96/2017.

Nel caso in cui il cedente/prestatore effettui la variazione annotando la nota di credito nel registro degli acquisti, il termine ultimo entro il quale provvedere a tale adempimento è quello di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione del documento.

La soluzione va però coordinata con quanto stabilito dall’innovato articolo 19, comma 1, del D.P.R. 633/1972, secondo cui, per i documenti emessi dal 2017, il diritto alla detrazioneè esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.

Sul punto è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la circolare 1/E/2018 precisando che “Per quanto riguarda la procedura di variazione da attivare ai sensi del comma 2 dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, per effetto del combinato disposto dell’articolo 26 e dell’articolo 19 del medesimo decreto, detta procedura deve realizzarsi (e, dunque, la nota di variazione deve essere emessa) entro i termini previsti dal comma 1 del citato articolo 19”.

In particolare, tenendo conto della nuova formulazione dell’articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, la nota di variazione in diminuzione deve essere emessa (e la maggiore imposta a suo tempo versata può essere detratta), al più tardi, entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione (cfr., con riguardo all’individuazione dell’anno in parola, la risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002, confermata dalla successive risoluzioni n. 307/E del 21 luglio 2008 e n. 42/E del 17 febbraio 2009)”.

In alternativa alla procedura di variazione, il cedente/prestatore può avvalersi, nel rapporto di natura tributaria con l’Amministrazione finanziaria, relativo al pagamento dell’imposta, del rimborso c.d. “anomalo”, soggetto al termine di decadenza biennale di cui all’articolo 21, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 (Cassazione, 10 giugno 1998, n. 5733; 13 marzo 2000, n. 2868; 28 aprile 2000, n. 5427; 27 giugno 2001, n. 8783; Cassazione SS.UU., 22 ottobre 2002, n. 6419).

Peraltro, va evidenziato che l’articolo 8, comma 1, della L. 167/2017 ha inserito del D.P.R. 633 l’articolo 30-ter, secondo cui la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Quando, invece, l’imposta non dovuta sia accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

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