La sentenza con motivazione meramente apparente è nulla
di Luigi FerrajoliNel nostro ordinamento, l’articolo 132, comma 2, n. 4 c.p.c. stabilisce che, in materia di processo civile ordinario, la sentenza debba avere determinati contenuti, quali l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata nonché delle parti e dei rispettivi difensori, le conclusioni delle parti, il dispositivo, la data di deliberazione e la sottoscrizione del giudice, ma soprattutto “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.
L’articolo 36 D.Lgs. 546/1992, parallelamente, stabilisce, con specifico riferimento all’ambito tributario, il principio generale per cui la sentenza, per essere valida, deve soddisfare i requisiti previsti dalla legge, con specifico riguardo alla “succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”, al fine di permettere alle parti in causa di comprendere l’iter argomentativo che ha portato il Giudice ad emettere quel determinato provvedimento.
In relazione all’esame di tale profilo, particolarmente interessante appare l’ordinanza n. 1461 del 19.01.2018 con cui la Corte di Cassazione, Sezione Sesta, è tornata ad occuparsi della validità della sentenza corredata da una motivazione meramente apparente.
Nel caso di specie, il Giudice di legittimità era stato chiamato a pronunciarsi in ordine alla contestazione di nullità di una sentenza perché sorretta da motivazione apparente.
La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, ha preliminarmente evidenziato che incorre in vizio di motivazione meramente apparente il giudice che, in violazione di un preciso obbligo di legge sancito dalla Carta Costituzionale “omette di esporre concisamente i motivi in fatto e in diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata”.
In via generale, si può affermare che una sentenza viene colpita da nullità qualora la motivazione sia del tutto assente (più che altro un caso di scuola), ovvero nel caso in cui la stessa sia “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
Nel richiamare sul punto la sentenza n. 1093 del 1947 pronunciata dalle Sezioni Unite, la Cassazione ha ricordato che la nullità si estende anche ai provvedimenti che siano caraterizzati, appunto, da una motivazione meramente apparente, in quanto “dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire di comprendere le ragioni e quindi le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”.
In altre parole, la nullità colpisce la sentenza che venga meno alla propria finalità di illustrare le premesse che conducano poi al risultato “res decidendi”.
Nel caso in esame la Suprema Corte ha evidenziato come la sentenza de qua non solo non fosse autosufficiente e neppure realizzante un idoneo rinvio per relationem, ma ha altresì sottolineato che le argomentazioni in essa proposte “di certo non disvelano il percorso logico-giuridico seguito dal decidente per risolvere le questioni poste nel giudizio, non essendo all’uopo idoneo il riferimento alla statuizione di primo grado, senza indicazione né delle tesi in essa sostenute dal Giudice di prime cure, neppure delle ragioni di condivisione”.
Secondo il Giudice di legittimità, del resto, la sentenza non può essere integrata dall’interpretazione delle parti in quanto quest’ultima, oltre ad essere discrezionale, potrebbe dare adito alle più varie “ipotetiche argomentazioni motivazionali”.
Per tali ragioni “l’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata, alla stregua della nozione di motivazione apparente innanzi delineata”.
La Corte ha pertanto ritenuto assorbente tale motivo di impugnazione e ha conseguentemente accolto il ricorso cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Commissione Tributaria Regionale competente.
Ancora una volta, la Suprema Corte ha ritenuto dunque di pronunciarsi per affermare un valore fondamentale nel nostro sistema giuridico, ossia la comprensibilità delle sentenze, che devono riportare, anche se in via concisa, i passaggi motivazionali che hanno condotto il Giudicante ad emettere quel provvedimento. Sarebbe infatti non solo lesivo del diritto di difesa, ma anche contrario alla certezza che deve informare di sé i provvedimenti del Giudice, consentire che una sentenza venga lasciata alla libera interpretazione di chi la legge.