3 Marzo 2018

L’impugnabilità del rigetto dell’istanza di interpello

di Luigi Ferrajoli
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Il contribuente ha la facoltà e non l’onere di impugnare il diniego di disapplicazione di norme antielusive emesso ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, D.P.R. 600/1973, considerato che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’articolo 19 D.Lgs. 546/1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione finanziaria porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario. È questo il principio di diritto che la Corte di Cassazione ha espresso con l’ordinanza n. 29026 del 05.12.2017.

Nel caso oggetto dell’intervento della Corte di Cassazione una società contribuente impugnava avanti al Giudice tributario il provvedimento con cui l’Ufficio rigettava l’istanza di interpello per la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo di cui all’articolo 30 L. 724/1994.

A fronte dell’accoglimento del ricorso in entrambi i gradi di merito, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’articolo 19 D.Lgs. 546/1992 ed affermava che il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto impugnabile il provvedimento di rigetto dell’istanza di interpello ex articolo 37-bis, comma 8, D.P.R. 600/1973, non rientrando l’atto anzidetto fra quelli suscettibili di impugnazione avanti le commissioni tributarie indicati nel citato articolo 19 D.Lgs. 546/1992.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Ufficio richiamando, in termini generali, il proprio costante orientamento secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’articolo 19 D.Lgs. 546/1992 ha natura tassativa, ma non preclude al contribuente la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con questi l’Amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni di fatto e di diritto, dal momento che è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell’amministrazione ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria attuato con la L. 448/2001.

Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, il contribuente ha la facoltà e non l’onere (potendo anche decidere di impugnare solo il successivo avviso di accertamento) di impugnare avanti al Giudice tributario il provvedimento di rigetto dell’istanza di interpello antielusivo.

Questo in conformità alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini dell’individuazione degli atti soggetti ad impugnazione ex articolo 19 D.Lgs. 546/1992, oltre ai singoli provvedimenti nominativamente indicati nella citata disposizione, deve aversi riguardo agli effetti giuridici che l’atto concretamente produce nella sfera giuridica del contribuente, i quali devono essere astrattamente idonei a fondare l’interesse del contribuente all’impugnazione ai sensi dell’articolo 100 c.p.c.

L’applicazione di criteri di interpretazione estensiva ed analogica nella individuazione delle categorie di atti contenuti nell’elenco indicato dall’articolo 19 D.Lgs. 546/1992 trova, infatti, fondamento tanto nell’esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede un’immediata definizione delle potenziali controversie), quanto nei principi costituzionali di buon andamento della Pubblica Amministrazione ex articolo 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino/contribuente di cui all’articolo 24 Cost.

Al riguardo è opportuno tornare a ribadire che la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, avente per oggetto l’articolo 19 D.Lgs. 546/1992, ha affermato che l’elencazione degli atti impugnabili davanti al giudice tributario di cui al citato articolo 19 non esclude l’impugnabilità di provvedimenti non compresi in tale elenco se contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria.

In tale ottica, la tassatività dell’elenco di cui all’articolo 19 D.Lgs. 546/1992 deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma all’individuazione di categorie di atti considerate in relazione agli effetti giuridici da essi prodotti.

Conseguentemente, compete all’interprete qualificare l’atto in concreto impugnato in relazione agli elementi funzionali ed agli effetti giuridici da esso prodotto e ricondurlo ad una delle predette categorie anche se si tratti di atto atipico o individuato con un nomen iuris diverso da quelli indicati nell’elenco di cui al citato articolo 19 del D.Lgs. 546/1992.

Infine, è opportuno ricordare che la questione dell’impugnabilità delle risposte emesse a seguito di interpello trova ora una disciplina legislativa specifica (per gli atti emessi a decorrere dal 2016) nell’articolo 6, comma 1, D.Lgs. 156/2015 secondo cui le risposte alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 L. 212/2000 non sono impugnabili, salvo le risposte alle istanze presentate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo (istanze di disapplicazione di norme antielusive) avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all’atto impositivo.

 

Temi e questioni del contenzioso tributario con Luigi Ferrajoli