No al raddoppio del contributo unificato nel processo tributario
di Angelo GinexLa Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza n. 18 del 02.02.2018, è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002 in riferimento all’articolo 111, comma 2, Costituzione, laddove esso venisse applicato nel processo tributario.
L’articolo citato, al fine di scoraggiare impugnazioni pretestuose o dilatorie, prevede, a titolo sanzionatorio, che, “quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis”.
Secondo i Giudici rimettenti, tale disposizione è lesiva del principio della parità delle parti di cui all’articolo 111, comma 2, Cost., in quanto essa dovrebbe poter colpire indistintamente sia la parte privata che quella pubblica, mentre il processo tributario è caratterizzato dalla presenza di un’amministrazione dello Stato che è esonerata dal pagamento del contributo unificato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, e quindi non assoggettata all’obbligo del versamento dell’ulteriore importo a detto titolo.
La questione formulata, e giunta in questi termini in Consulta, è stata, tuttavia, ritenuta inammissibile, atteso che – secondo i Giudici costituzionali – non si è tenuto conto di una differente soluzione interpretativa che poggia sulla insuscettibilità dell’applicazione estensiva o analogica al processo tributario del raddoppio del contributo unificato, misura eccezionale e sanzionatoria, e sul dato testuale della norma, che limita la sua operatività al solo processo civile.
Ciò ha però permesso alla Corte Costituzionale di chiarire comunque un aspetto interessante: il comma 1-quater dell’articolo citato, nel comminare la sanzione del raddoppio fa espresso rinvio al comma 1-bis per la commisurazione dell’importo da versare e, a sua volta, quest’ultimo rinvia al precedente comma 1, il quale disciplina la debenza del contributo unificato limitatamente al processo civile.
Al contrario, la disciplina del contributo unificato tributario – ha osservato la Consulta – è rintracciabile nel successivo comma 6-quater della norma incriminata, il quale non è assolutamente richiamato dal comma 1-quater oggetto di censura. D’altra parte, la stessa Corte, con sentenza n. 78 del 07.04.2016, aveva già avuto modo di precisare che i primi sei commi dell’articolo 13 D.P.R. 115/2002 si riferiscono soltanto al processo civile.
Chiarito ciò, occorre rilevare che, se tale assunto opera pacificamente in sede di impugnazione presso le Commissioni tributarie regionali, dei dubbi permangono purtroppo in relazione al giudizio di cassazione, laddove viene applicato regolarmente il raddoppio del contributo unificato.
Ecco, dunque, che rivive la bocciata argomentazione con cui i giudici di seconde cure hanno rimesso gli atti alla Consulta.
Se, infatti, i processi tributari approdati in Cassazione assumono le sembianze di processi civili, il raddoppio del contributo unificato, previsto in caso di rigetto del ricorso, non può essere addebitato alle amministrazioni dello Stato, che usufruiscono della prenotazione a debito, gravando in tal modo interamente sul contribuente e ledendo la garanzia costituzionale di parità processuale.
A sommesso parere di chi scrive, questa disparità di trattamento è inaccettabile, ancorché trovi conferma nelle recentissime sentenze con cui i giudici di legittimità hanno addossato il pagamento del contributo unificato raddoppiato unicamente al contribuente (ex multis, Cass., sentenze nn. 2545/2018; 1312/2018 e 29998/2017).
Stante l’inesistenza di pronunce di legittimità che abbiano fatto luce su tale questione, l’augurio è che essa riapprodi, su rilievo d’ufficio o su istanza di parte, nuovamente dinanzi ai giudici di legittimità costituzionale.