L’omesso versamento Iva all’importazione contagia la filiera
di Angelo GinexIl reato di evasione dell’Iva all’importazione è configurabile non soltanto nei confronti di chi ha introdotto abusivamente la merce nel territorio dello Stato, ma anche nei riguardi di tutti coloro che ne sono successivamente entrati in possesso senza assolvere il tributo dovuto, a condizione però che chi la detiene abbia precisa consapevolezza della sua origine. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza 18 dicembre 2017, n. 56264.
La vicenda trae origine dalla pronuncia da parte della Corte d’appello di Genova di una sentenza di non luogo a procedere per il reato di omesso versamento dell’Iva all’importazione di cui all’articolo 70 D.P.R. 633/1972, in quanto estinto per intervenuta prescrizione.
La Procura Generale della Repubblica proponeva, dunque, ricorso per cassazione, contestando, tra gli altri motivi, l’erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà della motivazione, sull’assunto che i giudici del gravame, nell’emanare il proprio provvedimento, avessero configurato il delitto contestato come reato istantaneo ad effetti permanenti.
La Suprema Corte, rigettando per intervenuta prescrizione il ricorso del titolare dell’azione penale, pur ritenuto valido a livello concettuale, hanno osservato come la natura giuridica di reato istantaneo ad effetti permanenti avrebbe fatto estinguere il reato per intervenuta prescrizione, decorrente dalla sottrazione dell’operazione all’imposizione.
A tale ricostruzione, tuttavia, essi oppongono il rilievo operato dai supremi giudici nella sentenza 4 marzo 1987, n. 4245, secondo cui il reato di evasione dell’Iva all’importazione conserva un carattere di antigiuridicità che residua sulla merce anche dopo essere stata introdotta nel territorio nazionale e che si riverbera su ogni ulteriore alienazione o trasporto.
Questo status di illegittimità si propaga, poi, verso tutti coloro che entrano in contatto con i cespiti che non hanno assolto il tributo, salva la loro inconsapevolezza sull’origine della merce.
Non potendo tale tributo essere, dunque, ritenuto una semplice tassa di passaggio, la relativa evasione è da considerarsi come reato permanente, la cui condotta tipica è ravvisabile principalmente nell’importazione, mentre la consumazione cessa solo ove si interrompa la circolazione della merce nel territorio statale e si dia luogo al versamento dell’Iva dovuta.
Dunque, al pari del reato di contrabbando di cui agli articoli 292 e 295 D.P.R. 43/1973, anch’esso contestato ed in seguito a riqualificazione della fattispecie eliminato, il reato di omesso versamento dell’Iva si configura verso tutti i soggetti, ancorché non trasferiscano la merce ma la detengano semplicemente, non essendo possibile discernere tra importatori abusivi iniziali e detentori successivi, data la natura plurifase dell’imposta sul valore aggiunto.
Nel caso in rassegna, inoltre, la Suprema Corte ha puntualizzato come, in ragione della permanenza del reato, la prescrizione non decorre finché non si dia luogo alla cessazione della condotta, corrispondendo il tributo, oppure non si sequestri la merce, ponendo fine alla lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice.
Riguardo proprio all’interesse presidiato dalla norma, i giudici di Piazza Cavour, confermando quanto affermato dal Procuratore generale, hanno dichiarato che prescindendo dalla natura di tributo interno dell’Iva all’importazione, essa obbedisce alla stessa ratio dei dazi doganali, ossia quella di prevenire pregiudizi economici in danno all’Unione, derivanti dall’acquisto all’estero di beni e all’importazione nel territorio europeo.
Secondo un filone giurisprudenziale contrapposto a quello in rassegna, non integra la fattispecie criminosa la mera condotta successiva di chi detiene il bene senza averne contribuito all’ingresso nel territorio nazionale. Questa estensione analogica apparirebbe, infatti, inaccettabile e spregiativa del legittimo affidamento degli operatori economici, anche in virtù del tenore letterale della norma (cfr., Cass., sentenza n. 19514/2004).
L’articolo 67 D.P.R. 633/1972, tuttavia, disciplina estensivamente l’importazione, non relegandola al mero ingresso del bene nel territorio statale. I giudici dell’odierna sentenza, pertanto, bene hanno deciso in merito a ciò, abbandonando il vetusto orientamento della Suprema Corte, ma non bisogna dimenticare un elemento importante: chi è in possesso di merce che non ha assolto il tributo deve avere precisa consapevolezza della sua origine.