Una nuova lettura del principio di “inerenza” con alcune perplessità
di Fabio LanduzziLa Corte di Cassazione, con due ordinanze pubblicate a poca distanza l’una dall’altra – la n. 450/2018 e la n. 3170/2018 – ha proposto un importante cambiamento della lettura e quindi della applicazione pratica del noto principio di inerenza delle spese, rispetto all’orientamento sinora prevalente e tradizionalmente applicato. Ma andiamo con ordine.
Secondo l’orientamento interpretativo più radicato nel tempo, il principio di inerenza sarebbe sancito dall’articolo 109, comma 5, Tuir, ai sensi del quale le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, dagli oneri fiscali e contributivi, sarebbero deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito, o che non vi concorrono in quanto esclusi.
L’Amministrazione finanziaria ha più volte ribadito che l’inerenza delle spese deve essere valutata con riguardo all’impresa nel suo complesso, e quindi non strettamente riferita alla realizzazione di ricavi. A questa nozione si è poi nel tempo aggiunta anche una sorta di c.d. inerenza quantitativa, molto vicina al principio di antieconomicità e volta quindi a poter ritenere una spesa inerente solo per una sua parte in ragione di una presunta non congruità rispetto alla complessiva attività dell’impresa.
Ebbene, questa tradizionale definizione del principio di inerenza viene completamente disattesa dalle sopra citate ordinanze della Cassazione dalle quali si traggono alcune affermazioni di principio senza dubbio molto interessanti.
In primo luogo, viene rotto il collegamento fra il principio di inerenza ed l’articolo 109, comma 5, Tuir.
Ovvero, l’inerenza non avrebbe affatto un fondamento normativo in questa disposizione del Tuir la quale, invece, avrebbe solo la funzione di stabilire che, ove alla formazione dell’imponibile fiscale concorressero ricavi esenti, allora non sarebbe possibile dedurre oneri che derivano dalle attività o dai beni da cui appunto originano tali proventi esenti. Quindi, l’inerenza discenderebbe non da questa disposizione del Tuir, come tradizionalmente pensato, bensì dal principio costituzionale di capacità contributiva.
Il secondo principio affermato è che la valutazione della inerenza di un costo consiste sempre e solo in un giudizio “qualitativo”; quindi, va abbandonato il concetto di inerenza “quantitativa” poiché tale requisito non può essere mai tradotto in termini di congruità della spesa sostenuta, un aspetto quest’ultimo che potrebbe semmai costituire elemento indiziario nel giudizio qualitativo. L’affermazione contenuta nella ordinanza n. 450/2018 è eloquente ove si legge che “l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo”.
Questo non significa che la questione della antieconomicità dei costi sia stata rimossa dall’ambito fiscale, bensì solo che questa non deve essere più vista nella prospettiva dell’inerenza delle spese; quindi, il comportamento antieconomico del contribuente continua ad essere perseguibile sulla base di presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che facciano emergere, ad esempio, la ricorrenza di rilevanti scostamenti fra prezzo e valore di mercato dei beni/servizi scambiati, di situazioni di arbitraggio fiscale, di relazioni familiari o societarie tali da influenzare la corretta fissazione dei corrispettivi, ecc..
Infine, nella ordinanza n. 3170/2018 si legge un passaggio che non appare condivisibile quando si fa riferimento al concetto del valore normale di mercato (articolo 9 Tuir).
Viene infatti affermato che, con riguardo alla valutazione di congruità ed economicità della spesa, è riservato all’Amministrazione il potere di valutare le componenti attive e passive secondo il “normale valore di mercato” che costituirebbe un principio generale desumibile appunto dall’articolo 9 Tuir. Diversamente, il principio del valore normale è come noto applicabile nel comparto delle imposte sui redditi esclusivamente ai casi in cui viene espressamente richiamato dalle disposizioni di legge.