Nuova apertura sul giustificato mancato pagamento delle imposte
di Angelo GinexNon sussiste il reato di omesso versamento di ritenute certificate per carenza dell’elemento soggettivo, qualora la condotta omissiva dell’imputato sia dipesa da una crisi di liquidità dell’impresa che lo abbia obbligato, tra pagamento degli stipendi dovuti ai lavoratori dipendenti e versamento delle ritenute fiscali, ad optare per la prima, trovando il diritto al lavoro ed alla conseguente retribuzione fondamento e tutela nella Costituzione. È questo l’interessante principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza 12 febbraio 2018, n. 6737.
La vicenda prende le mosse dalla pronuncia del giudice per le indagini preliminare del Tribunale di Bergamo, che condannava l’imputato per il reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all’articolo 10-bis D.Lgs. 74/2000 per avere omesso, quale legale rappresentante di una S.p.A., di versare le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti di imposta entro i termini di legge.
Avverso tale decisione veniva proposto gravame dinanzi alla Corte d’appello di Brescia, la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena e ne revocava la sospensione condizionale. Successivamente, il condannato presentava ricorso per cassazione, deducendo, per quanto qui rileva, la violazione dell’articolo 10-bis D.Lgs. 74/2000 per avere i giudici del merito ritenuto sussistente il reato in parola, pur in assenza dell’elemento soggettivo.
In particolare, il ricorrente assumeva che non può non avere rilevanza la crisi di liquidità in cui aveva trovato la società una volta divenuto amministratore, in quanto sarebbe incostituzionale ritenere punibile l’imprenditore che ometta il versamento delle ritenute fiscali a causa di una crisi finanziaria e per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, pure tutelati dalla Costituzione, con particolare riferimento al diritto al lavoro e alla conseguente retribuzione.
Nella pronuncia in disamina, i Giudici di piazza Cavour hanno rilevato, in prima battuta, l’illegittimità della pronuncia di secondo grado per aver ritenuto sussistente il dolo dell’imputato sulla base di una generica invocazione di quella che viene definita “costante giurisprudenza sul punto”, secondo cui la responsabilità penale sarebbe esclusa solo in presenza di una crisi economica non imputabile all’imprenditore e in caso di adozione di tutte le misure idonee a fronteggiare la stessa.
Ciò premesso, la Suprema Corte ha poi evidenziato come i giudici di secondo grado abbiano comunque operato una ricostruzione della fattispecie penale non giuridicamente completa, dacché essi non hanno esaminato se l’opzione esercitata dall’imputato (e cioè quella di provvedere con le somme disponibili al pagamento degli stipendi dovuti ai lavoratori dipendenti e non al versamento delle ritenute fiscali) sia realmente compatibile con il dolo della fattispecie incriminata.
A tal proposito, si rammenta che l’evoluzione giurisprudenziale ha visto susseguirsi ad una prima fase di rigore, in cui veniva richiesta la sussistenza di condizioni tali da rendere pressoché poco probabile una decisione di assoluzione, quella di maggiore apertura, secondo cui l’omesso versamento delle ritenute fiscali in una situazione di crisi di liquidità può non integrare il relativo reato o per carenza dell’elemento soggettivo o per sussistenza di una causa di forza maggiore.
Inserendosi nel solco tracciato da quest’ultimo orientamento, la pronuncia in rassegna ha evidenziato, da un lato, che la prova sulla impossibilità per l’imprenditore di far fronte alla crisi finanziaria con una modalità diversa da quella dell’omesso versamento dell’imposta non deve essere particolarmente rigorosa per l’imputato e, dall’altro, che l’elemento soggettivo necessario a integrare il reato in parola assume un ruolo rilevante.
Più precisamente, i giudici di legittimità hanno rilevato che l’affermazione dell’imputato di sentirsi obbligato a soddisfare prima i crediti vantati dai lavoratori dipendenti, da ciò derivando il soddisfacimento delle loro primarie esigenze di vita, consente di escludere il dolo di omesso versamento delle imposte, in quanto esso non può essere scisso dalla consapevolezza dell’illiceità della condotta che viene investita dalla volontà.
In definitiva, il reato in parola non può essere integrato dalla mera consapevolezza della condotta omissiva, richiedendosi che il mancato versamento delle imposte sia conseguenza di una scelta libera e consapevole, che evidentemente non può esserci nell’ipotesi in cui l’imprenditore, prima di versare le imposte, opti per il pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, il cui diritto è costituzionalmente garantito.