Classificazione e determinazione del reddito da lavoro dipendente
di EVOLUTIONDal Tuir è possibile individuare un inquadramento normativo in merito al reddito di lavoro dipendente a partire dall’art. 49 e ss. del Tuir. In particolare:
- l’articolo 49 fornisce la definizione di reddito di lavoro dipendente e dei redditi ad esso equiparati;
- l’articolo 50 elenca le fattispecie di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;
- l’articolo 51 disciplina le modalità di determinazione del reddito di lavoro dipendente;
- l’articolo 52 regola, invece, le modalità di determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
Sulla base della definizione data dal primo comma dell’articolo 49 del Tuir, rientra nella categoria dei redditi di lavoro dipendente tutto ciò che è conseguito sulla base del rapporto, anche se non direttamente collegato al sinallagma lavoro-retribuzione, cioè indipendentemente dalla effettiva prestazione di lavoro.
Per capire se il rapporto di lavoro possa essere inquadrato nell’ambito del lavoro dipendente, la qualifica quindi è un presupposto ininfluente; ciò che rileva, invece, è la sussistenza del c.d. “vincolo di subordinazione”, a prescindere dal nomen juris dato dalle parti al contratto. L’esistenza del vincolo, che consiste per il lavoratore in uno stato di assoggettamento gerarchico e per il datore di lavoro, nel potere direttivo, con il consequenziale inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che caratteri dell’attività lavorativa come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell’impresa, le modalità di erogazione della retribuzione e la stessa durata dell’attività non assumono valore decisivo, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato che con quello di lavoro autonomo (o parasubordinato). Diversamente, i caratteri decisivi sono che il lavoratore dipendente fornisce la propria prestazione di lavoro nel luogo deciso dal datore di lavoro, negli orari da questi indicati, usando di norma strumenti o componenti di capitale forniti dallo stesso datore di lavoro e seguendo le direttive tecniche di questo.
L’art. 49 co. 2 del Tuir indica che costituiscono, altresì, redditi di lavoro dipendente:
- le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati;
- le somme di cui all’articolo 429, ultimo comma, del codice di procedura civile.
Vi è poi la categoria dei redditi assimilati a quello di lavoro dipendente (art. 50 Tuir), la quale è soggetta a suddivisione in gruppi:
- Gruppo 1 → manca in radice un collegamento con una prestazione lavorativa;
- Gruppo 2 → pur sussistendo un nesso con una prestazione lavorativa, manca un rapporto di servizio che possa configurare un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente;
- Gruppo 3 → esiste una prestazione lavorativa, ma questa non è legata alla retribuzione, in quanto il relativo compenso discende da elementi diversi dalla effettiva prestazione lavorativa.
Tale elencazione prevista dal comma 1 della norma è tassativa e non permette interpretazioni estensive o analogiche.
Il principio generale di determinazione del reddito di lavoro dipendente, indicato all’art. 51 co. 1, definisce il criterio secondo cui il reddito di lavoro dipendente viene definito una fattispecie reddituale omnicomprensiva. Infatti, tutto ciò che il lavoratore percepisce nel periodo di imposta (ci si riferisce sia a somme in denaro, ma anche a beni e servizi in natura, da valorizzarsi secondo determinati criteri), a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazione liberale, in relazione al rapporto di lavoro, è imponibile ai fini fiscali (e contributivi). In altri termini, il reddito di lavoro dipendente si determina in linea generale comprendendo tutti gli elementi (purché di natura reddituale) in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non direttamente provenienti dal datore di lavoro.
Il reddito di lavoro dipendente viene assoggettato a tassazione nel momento e nel periodo di imposta in cui viene percepito: si applica, quindi, il principio di cassa. Diversamente, l’imponibile contributivo soggiace al principio di competenza.
Vi sono però due deroghe a tale regola generale:
- principio di cassa allargato, secondo cui si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme ed i valori in genere corrisposti dai datori di lavoro entro il 12 del mese di gennaio del periodo di imposta successivo a quello cui si riferiscono;
- assogettare a contribuzione comunque nel mese di corresponsione le gratifiche annuali e periodiche (13°e 14° mensilità), i premi di produzione, nonché i conguagli retributivi spettanti per effetto di norme di legge o di contratto aventi effetto retroattivo.
Occorre considerare che rientrano nella categoria dei redditi di lavoro dipendente anche i fringe benefits di cui, ai sensi dell’art. 51 co. 3 c.c. viene stabilito come criterio generale per la determinazione dei valori in natura che confluiscono nel reddito di lavoro dipendente (cosiddetti fringe benefit) quello del valore normale ex articolo 9, Tuir. Nello specifico:
- per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4, articolo 9 per azioni, obbligazioni ed altri titoli negoziati e non negoziati, si intende il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi;
- per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali ed ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. È comunque previsto che non concorre alla formazione del reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se, complessivamente, di importo non superiore, nel periodo di imposta, a € 258,23.
Per quanto riguarda il regime fiscale dei redditi prodotti all’estero (co. 8-bis), in deroga alle normali regole sulla determinazione del reddito di lavoro dipendente (suddetti commi da 1 a 8), qualora si sia in presenza di un’attività di lavoro prestata all’estero, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi, il reddito venga determinato sulla base di retribuzioni convenzionali, definite annualmente con decreto del Ministero del lavoro, senza quindi tener conto dei compensi effettivamente erogati.
A tale disposizione di legge sono soggetti quei lavoratori che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia.
Tale regime trova quindi la sua applicazione in caso di assegnazioni all’estero durature (in linea di principio oltre i sei mesi) da parte di aziende italiane oppure in caso di assunzione del dipendente, fiscalmente residente in Italia, direttamente all’estero (si pensi, per esempio al dipendente che parte dall’Italia nella seconda metà del periodo di imposta, o di quello che lascia la famiglia in Italia).
Per quanto riguarda il requisito minimo dei 183 giorni di lavoro nello Stato estero, la C.M. 207/E/2000, paragrafo 1.5.7 ha precisato che:
- il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all’estero per un minimo di 183 giorni nell’arco di 12 mesi;
- il legislatore con l’espressione “nell’arco di 12 mesi” non ha inteso far riferimento al periodo di imposta, ma alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nel contratto di lavoro che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari.
Per evitare la doppia imposizione, l’articolo 165 del Tuir prevede che per il recupero delle imposte pagate all’estero sui redditi ivi prodotti sia possibile applicare l’istituto del credito d’imposta.
Ai sensi del co. 10 del suddetto articolo, per il calcolo del credito di imposta fruibile in Italia è necessario rapportare il reddito di lavoro dipendente italiano (determinato sulla base della retribuzione convenzionale) a quello “estero”. L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione AdE 48/E/2013 e con la circolare AdE 9/E/2015, ha chiarito che il reddito estero deve essere rideterminato con le regole italiane. La riduzione dell’imposta detraibile ai sensi dell’articolo 165, comma 10, nei limiti della quota imponibile del reddito estero, “si rende applicabile anche nel caso di redditi derivanti da attività di lavoro subordinato prestata all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro di cui all’articolo 51, comma 8-bis, Tuir, determinati in base alle retribuzioni convenzionali”.
Il “credito d’imposta pieno” di cui avrebbe fruito il reddito in caso di tassazione analitica deve essere ridotto nella misura in cui effettivamente il reddito è assoggettato ad imposizione in capo al dipendente residente.
Tale retribuzione è stabilita annualmente in misura non inferiore al trattamento economico minimo previsto dai contratti collettivi nazionali per determinati settori. Il decreto interministeriale (approvato dal Ministero del lavoro di concerto con il Ministero dell’economia) per la determinazione delle retribuzioni convenzionali deve essere emanato entro il 31 gennaio di ogni anno. Per individuare la retribuzione convenzionale applicabile, una volta individuato il settore, dovrà farsi riferimento alla qualifica del dipendente (dirigente, quadro, impiegato ecc.), alla fascia o al livello, a seconda del settore.
Nella Scheda di studio pubblicata su EVOLUTION sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti: |