8 Maggio 2018

Accesso e gravi indizi: quando si ha destinazione ad uso promiscuo?

di Angelo Ginex
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In tema di verifiche fiscali, la destinazione ad uso promiscuo di un locale, che non subordina l’autorizzazione all’accesso del Procuratore della Repubblica alla presenza di gravi indizi di violazioni, ricorre non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività commerciale o professionale, ma ogni qualvolta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri di detta attività nei locali abitativi. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza 28 marzo 2018, n. 7723.

La fattispecie prende le mosse dalla pronuncia con cui i giudici di seconde cure avevano respinto il ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo un avviso di accertamento avente ad oggetto imposte sui redditi ed Iva, perché basato su un accesso svolto senza regolare autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Essi avevano, infatti, reputato corretto quanto affermato dai giudici di prime cure in quanto, secondo il loro ragionamento, la verifica fiscale veniva effettuata nell’abitazione privata del contribuente e per l’effetto richiedeva l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, la quale nulla prevedeva in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di violazione delle norme tributarie.

Essi inoltre, sulla scorta di quanto prodotto dal contribuente, ritenevano insussistente la natura promiscua dell’edificio presso il quale era stato operato l’accesso, dacché il piano terra risultava adibito ad attività di pubblico esercizio e il primo piano a residenza familiare del contribuente.

L’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione per violazione dell’articolo 52 D.P.R. 633/1972, sull’assunto che il giudice di merito, nell’emanare il proprio provvedimento, avesse errato nell’annullare l’avviso di accertamento, essendosi l’accesso esteso all’abitazione privata del contribuente in assenza dei gravi indizi richiesti dalla norma.

I Supremi giudici, accogliendo il ricorso, hanno colto l’occasione per chiarire nuovamente le ipotesi in cui è ravvisabile una destinazione ad uso promiscuo dell’edificio oggetto di accesso.

Detta caratteristica sussiste non solo quando i locali sono contemporaneamente utilizzati per svolgere l’attività commerciale o professionale e la vita familiare, ma anche quando la possibilità di comunicazione interna tra gli ambienti di detti locali sia tanto agevole da consentire il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale o professionale nella dimora familiare, così come già precisato dalla Suprema Corte con sentenza n. 28068/2013.

Questo vale tanto per gli accertamenti in materia di Iva, come previsto dall’articolo 52 D.P.R. 633/1972, quanto in materia di imposte sui redditi, ex articolo 33 D.P.R. 600/1973, il quale rinvia proprio alla norma suindicata.

Nel caso di specie, invece, il giudice d’appello ha ritenuto autonomi i locali dell’edificio, non tenendo conto della situazione accertata dall’Amministrazione finanziaria durante l’accesso, secondo cui il locale dove si svolgeva l’attività commerciale e quello abitativo erano internamente comunicanti.

Inoltre, pur ritenendo sussistente la natura privata dell’abitazione, lo stesso non ha esaustivamente giustificato l’applicazione della disciplina prevista per quest’ultima, in luogo di quella prevista per i locali destinati anche all’esercizio di attività commerciali o professionali.

Dunque, ex articolo 52, comma 1, D.P.R. 633/1972 l’accesso a locali adibiti ad attività commerciali o professionali e ad abitazione privata, pur necessitando dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non richiede anche la presenza di gravi indizi di violazione delle norme tributarie. Il secondo comma, infatti, fa salva la presenza di detti indici soltanto nel caso in cui l’accesso debba essere compiuto nella dimora privata del contribuente.

Da ultimo, si rileva che la fattispecie de qua è stata trattata anche dalla Guardia di Finanza nella nota Circolare 1/2018, ove essa sostiene quanto già esposto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 6232/2015, e cioè che la destinazione ad uso promiscuo sussiste anche quando l’agevole comunicazione tra gli ambienti dell’edificio permette il trasferimento dei documenti dell’attività commerciale o professionale nei locali adibiti alla vita familiare, consentendo di detenerli nelle stanze utilizzate per il sonno o per i pasti e di utilizzarli all’occorrenza.

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