12 Maggio 2018

Nullità del bilancio e chiarimenti ai soci

di Alessandro Biasioli
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L’assunto di partenza di questa analisi è che il bilancio d’esercizio di una società di capitali che violi i principi di chiarezza e precisione previsti dall’articolo 2423, comma 2, cod. civ., è illecito. La grave conseguenza di tale illiceità è che la relativa deliberazione assembleare di approvazione del bilancio deve essere dichiarata nulla.

Ciò premesso, risulta fondamentale porre l’attenzione sull’importanza che possono assumere i chiarimenti resi in assemblea dagli amministratori, al fine di evitare una tale dichiarazione di nullità.

Il bilancio nella sua interezza, infatti – come anche ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite con la sentenza n. 27 del 21.2.2000 – deve essere comprensibile per tutti i destinatari e trasparente nel suo processo di formazione sostanziale e di rappresentazione formale. Tale principio riguarda la struttura e il contenuto di tutti i singoli documenti di bilancio: dallo stato patrimoniale e dal conto economico, fino alla nota integrativa.

La tesi prevalente analizzata dalla Suprema Corte nella pronuncia sopra citata stabilisce che il principio di chiarezza non possa essere subordinato al rispetto di un sovraordinato principio di verità del bilancio. Secondo tale indirizzo, quindi, il bilancio d’esercizio di una società di capitali è illecito non soltanto quando la violazione della normativa al riguardo determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà contezza (difetto di verità), ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso, e dai relativi allegati, non sia possibile desumere tutte le informazioni che la legge vuole invece siano fornite (difetto di chiarezza).

L’articolo 2423 cod. civ., in esame, ha sempre attribuito specifica ed autonoma rilevanza al principio di chiarezza, intendendo tale termine come sinonimo di evidenza, trasparenza, intelligibilità e analiticità delle singole voci, della composizione del patrimonio, dell’origine del risultato e delle ragioni per le quali una certa posta di bilancio ha acquistato la consistenza attribuitale nel documento. Tra le funzioni del bilancio c’è proprio quella di fornire a chi ne fa lettura e uso – che siano soci o terzi estranei alla società – tutte le informazioni richieste dalla legge, non soltanto con riferimento ai dati conclusivi, ma anche ai singoli passaggi, ai dettagli, agli elementi e al modo della loro formazione. Un bilancio poco chiaro eluderebbe tale finalità e pregiudicherebbe, in questo modo, gli interessi generali tutelati dalla normativa in materia; il semplice dato numerico, infatti, è di per sé insufficiente a fornire un’informazione completa, se non è accompagnato da voci comprensibili, non meramente descrittive, ma dotate anche di adeguata capacità dimostrativa.

Ai sensi dell’articolo 2423, comma 3, cod. civ., infatti, è addirittura previsto che “se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo”. Tale previsione normativa attesta il rilievo attribuito dalla legge all’esigenza che le informazioni desumibili dal bilancio debbano essere chiare al punto che un’eventuale assenza di chiarezza avrebbe l’estrema conseguenza di rendere illecito il bilancio medesimo.

È, conseguentemente, corretto affermare che non solo il bilancio d’esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’articolo 2423, comma 2, cod. civ., è illecito, ma è nulla anche la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato e ciò in tutti i casi in cui dal bilancio stesso, e dai relativi allegati, non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

Solo con i chiarimenti che gli amministratori di una società di capitali possono rendere in assemblea si può ottenere una completa e corretta informazione dei soci circa il contenuto del bilancio, evitando così ogni possibile illiceità e rendendo il bilancio medesimo pianamente rispettoso del dettato normativo in esame.

Il diritto di informazione del socio, infatti, trova, proprio in assemblea la sua naturale sede di attuazione, sempre tenendo presente che i chiarimenti sollecitati non possono comportare la comunicazione di notizie destinate a rimanere riservate e la cui diffusione possa arrecare pregiudizio alla società: gli amministratori devono soddisfare l’interesse del socio ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili del bilancio e sono obbligati a rispondere alla domanda d’informazione che sia pertinente e non trovi ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati di bilancio.

Pertanto, i chiarimenti forniti in assemblea, se adeguati, fanno venire meno l’interesse del socio che li ha chiesti ad eventuali impugnative della delibera di approvazione in relazione ai punti oggetto dei chiarimenti stessi.

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