Indagini finanziarie e movimentazioni sui conti di soggetti terzi
di Angelo GinexIn tema di indagini finanziarie, l’Agenzia delle entrate deve provare, anche tramite presunzioni, che le movimentazioni bancarie riscontrate sui conti correnti intestati a soggetti terzi rispetto alla società verificata siano riferibili, seppure in parte, ad operazioni aziendali, onde poter recuperare a tassazione la maggiore materia imponibile accertata. È questo il principio di diritto che emerge dall’ordinanza n. 9212 del 13.04.2018 della Corte di Cassazione.
La controversia sottoposta al vaglio dei giudici di Piazza Cavour prende le mosse da un ricorso proposto dalla contribuente, una società a responsabilità limitata operante nel settore tessile, avverso un avviso di accertamento emanato dall’Agenzia delle entrate a seguito di indagini finanziarie.
L’Amministrazione finanziaria, sulla scorta dei dati rinvenienti dai conti correnti personali dell’amministratore della società verificata e, addirittura, di sua figlia, evidenziava l’esistenza di movimentazioni bancarie sospette, poiché non adeguatamente motivate. Essa procedeva pertanto al recupero a tassazione del maggior imponibile rilevato, emanando il relativo avviso di accertamento.
La società oggetto di controllo proponeva ricorso avverso tale atto, deducendo l’insussistenza di alcuna prova in merito alla riferibilità delle suddette movimentazioni ad essa.
L’Agenzia delle entrate, stante la vittoria della società ricorrente nei giudizi di primo e secondo grado, proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 32 e 41 D.P.R. 600/1973, articolo 51 D.P.R. 633/1972 e articolo 2728 cod.civ..
La Suprema Corte ha risolto la lite così insorta in senso favorevole alla società verificata, rigettando il ricorso per cassazione proposto dall’Amministrazione finanziaria.
In particolare, i giudici di Piazza Cavour hanno affermato tout court che, al fine di emettere un avviso di accertamento in capo ad una società sulla base dei dati risultanti dai conti correnti intestati a soggetti terzi, l’unica condizione sempre necessaria consiste nel provare che i suddetti conti siano stati utilizzati per operazioni riferibili alla società stessa.
Tale onere probatorio, assolvibile anche mediante l’utilizzo di presunzioni, non riguarda però la totalità delle movimentazioni bancarie effettuate: secondo il ragionamento adoperato dai giudici, infatti, è sufficiente che l’Agenzia delle entrate dimostri una correlazione anche tra una parte delle operazioni aziendali e quelle effettuate sul conto.
Detto in altri termini, l’Amministrazione finanziaria deve provare l’utilizzo, da parte della società accertata, dei conti bancari oggetto di controllo, senza la necessità di dimostrare che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi dell’articolo 32 D.P.R. 600/1973, incombe sul contribuente accertato la dimostrazione dell’estraneità alla propria attività di impresa.
È d’uopo sottolineare come la Suprema Corte non ritenga altresì necessario che l’Agenzia delle entrate dimostri la natura fittizia dell’intestazione dei conti a terzi, essendo questa una condizione non necessaria perché l’Amministrazione finanziaria possa procedere con l’accertamento.
In virtù di quanto sopra, quindi, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’Agenzia delle entrate, non avendo fornito alcun tipo di elemento atto a dimostrare la riferibilità alla contribuente delle movimentazioni bancarie effettuate sui conti dell’amministratore e, addirittura, della figlia di quest’ultimo, non abbia adempiuto al proprio onere probatorio.
Peraltro, la Suprema Corte ha colto l’occasione per precisare che il presunto comportamento non collaborativo e omissivo della società contribuente, tanto invocato dall’Amministrazione finanziaria, non possa essere considerato sufficiente a colmare l’assenza dei necessari elementi probatori.
Si segnala, infine, che un recente pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., Cassazione n. 8112/2016), citato anche nella pronuncia in rassegna, appare discordante con il principio appena enunciato: esso infatti ritiene che le condizioni di fittizietà e di riferibilità siano di natura alternativa, così negando il carattere necessario della prova circa l’utilizzabilità del conto per operazioni riferibili alla società contribuente.