Tassazione del trust: errare è umano, perseverare è diabolico
di Sergio PellegrinoCome è noto, la questione della tassazione indiretta dei trust è quanto mai controversa, tant’è che nella passata legislatura era stata presentata una proposta di legge per risolvere definitivamente l’annosa questione.
In questo scenario va evidenziata, ma purtroppo in senso negativo, una recente pronuncia della Commissione tributaria regionale del Lazio – la sentenza n. 1518/01/2018 – che, non me ne voglia il collegio giudicante, è riuscita a confondere ulteriormente una vicenda che, come si è detto, è già confusa di suo.
La CTR Lazio già in altre pronunce passate aveva “sposato” convintamente quello che io chiamo il “teorema Cicala”, dal nome del Presidente della sesta Sezione della Cassazione (la c.d. sezione “filtro”) che in una serie di ordinanze del 2015 e in una sentenza del 2016 ha appunto “teorizzato” l’esistenza di una nuova imposta alla quale sarebbero assoggettati tutti i vincoli di destinazione, disposizione di beni in trust compresi.
La tesi sostenuta dalle pronunce della sesta Sezione è che il comma 47 dell’articolo 2 del decreto legge 262/2006 non si sarebbe limitato a re-introdurre nel nostro ordinamento l’imposta di successione e donazione, ma avrebbe “concepito” una nuova imposta, l’imposta sulla costituzione di vincoli di destinazione, “accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie”.
L’imposta sui vincoli di destinazione non necessiterebbe del trasferimento e quindi dell’arricchimento di alcuno, in considerazione del fatto che il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva sarebbe l’utilità economica destinata a pervenire al beneficiario finale, sul quale dovrebbe quindi, in definitiva, gravare il peso del prelievo.
La visione proposta è stata respinta con vigore dalla dottrina, ma soprattutto dalla stessa Cassazione, che con la sentenza 21614/2016 della quinta Sezione (quella tributaria, va sottolineato) ha “demolito” il “teorema Cicala”.
La pronuncia in questione evidenzia come non esiste alcuna asserita “nuova” imposta, ma che, con l’intervento del 2006, il legislatore si è limitato a reintrodurre l’imposta sulle successioni e sulle donazioni, alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono soggiacere anche i vincoli di destinazione, con la conseguenza che il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’articolo 1 D.Lgs. 346/1990, consistente nel reale trasferimento di beni o diritti e quindi nel reale arricchimento dei beneficiari.
Se così non fosse, sottolinea la sentenza, si paleserebbe un inaccettabile contrasto con l’articolo 53 della Costituzione, non potendo il nostro ordinamento legittimare un’imposta che non abbia alcuna relazione con un’idonea capacità contributiva (a meno che non sia un’imposta semplicemente d’atto, come ad esempio l’imposta di registro).
Le visioni delle due sezioni della Cassazione sono evidentemente contrapposte: può essere sostenuta la validità dell’una o dell’altra (o di nessuna delle due, come di fatto fa l’Agenzia delle entrate), ma cercarle di conciliare, come ha fatto la sentenza n. 1518/01/2018 della CTR Lazio, appare alla stregua di un tentativo di “mutazione genetica”.
La Commissione, che evidentemente sente “proprio” il “teorema Cicala”, ma nel contempo non vuole porsi in contrasto con la sentenza della sezione tributaria della Cassazione, arriva infatti alla conclusione che “a differenza di un trust c.d. autodichiarato riconducibile alla donazione indiretta e soggetto all’imposta in misura fissa (Cass. Civ. Sez. V, 26-10-2016, n. 21614), l’istituzione di un trust successorio, quale quello di cui al presente giudizio, determina la costituzione di un vincolo di destinazione su beni conferiti dal disponente che, in quanto si traduce in un sostanziale arricchimento del (o dei) beneficiario (i), rappresenta – di per sé e, perfino, indipendentemente dall’individuazione del beneficiario – autonomo presupposto impositivo in forza della L. n. 286 del 2006, art. 2, comma 47, che assoggetta tali atti, in mancanza di disposizioni di segno contrario, ad un onere fiscale parametrato sui criteri di quell’imposta sulle successioni e donazioni …”.
Questa conclusione “cerchiobottista” di fatto però si pone in contrasto con entrambi gli orientamenti giurisprudenziali che cercava di contemperare.
È certamente vero il fatto che il trust della sentenza 21614/2016 fosse un trust autodichiarato, ma questo non è in alcun modo “il” fattore decisivo, tant’è che la pronuncia afferma che non si può dar luogo all’applicazione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni, poiché “manca il presupposto impositivo della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti”.
Nel contempo, curiosamente, i giudici di Roma sembrano essersi dimenticati del fatto che la maggior parte delle pronunce della sesta sezione della Cassazione che hanno sostenuto la tesi dell’imposta sui vincoli di destinazione erano proprio incentrate su trust autodichiarati, comprese la sentenza 4482/2016 e l’ordinanza 3886/2015 che essi stessi hanno richiamato.
Dunque, tutta la nostra solidarietà al notaio di Latina chiamato in causa dall’Agenzia come coobbligato per le imposte non versate in relazione alla disposizione dei beni in trust e frustrato dalla pronuncia “double face” della CTR Lazio, nella convinzione che questa non potrà che essere cassata dalla Suprema Corte.