Omessa sottoscrizione del ricorso: niente rimessione in CTP
di Luigi FerrajoliIl giudice tributario, ove la procura alle liti, le modalità di conferimento della quale seguono le regole generali dettate dall’articolo 83 cp.c., manchi o sia invalida, prima di dichiarare l’inammissibilità del ricorso, a norma degli articoli 12, comma 5, e 18, commi 3 e 4, D.Lgs. 546/1992, deve invitare la parte a regolarizzare la situazione, e, solo in caso di inottemperanza, pronunciare la relativa inammissibilità.
Nel caso di specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto ammissibile il ricorso presentato dal professionista abilitato in forza di mandato non posto in calce o a margine del ricorso ma contenuto nelle osservazioni presentate ai sensi dell’articolo 12, comma 7, L. 212/2000, allegato al ricorso e notificato, unitamente a questo, all’altra parte.
Inoltre, in tema di contenzioso tributario, la rimessione della causa alla Commissione provinciale è prevista dall’articolo 59, comma 1, D.Lgs. 546/1992 solo per ipotesi tassative ed eccezionali, al di fuori delle quali la Commissione tributaria regionale, qualora accolga l’appello, è tenuta a decidere la causa nel merito, trattandosi di mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo, e non ostandovi il principio del doppio grado di giurisdizione, il quale, oltre a non trovare garanzia costituzionale nel nostro ordinamento, postula solo che una questione venga successivamente proposta a due giudici di grado diverso e non anche che venga decisa da entrambi.
Questi sono i principi enunciati dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 5426 del 07.03.2018, la quale ha ribadito che costituisce un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che, in campo processuale, debbano essere evitate irragionevoli sanzioni di inammissibilità, con la conseguenza che il giudice tributario, pur in presenza della mancanza o della invalidità della procura, non può dichiarare subito l’inammissibilità del ricorso, ma a norma dell’ articolo 12, comma 5 e dell’ articolo 18, commi 3 e 4 del D.Lgs. 546/1992, deve dapprima invitare la parte a regolarizzare la situazione e, solo in caso di inottemperanza, pronunciare la relativa inammissibilità.
In relazione alla questione della rimessione del giudizio avanti la Commissione Tributaria Provinciale la Corte di Cassazione ha chiarito che la dichiarazione di ammissibilità del ricorso di primo grado enunciata dalla Commissione Tributaria Regionale non implica necessariamente la rimessione della causa al giudice di primo grado.
Sul punto è opportuno ricordare che l’articolo 59 del D.Lgs. 546/1992 stabilisce che: “La commissione tributaria regionale rimette la causa alla commissione provinciale che ha emesso la sentenza impugnata nei seguenti casi: a) quando dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice; b) quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato; c) quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale; d) quando riconosce che il collegio della commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto; e) quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado. Al di fuori dei casi previsti al comma precedente la commissione tributaria regionale decide nel merito previamente ordinando, ove occorra, la rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado”.
La Corte di Cassazione ha, quindi, chiarito che la lettera della legge prevede la rimessione della causa al giudice di primo grado solo in ipotesi tassative ed eccezionali, al di fuori delle quali, la Commissione Tributaria Regionale, quando accoglie l’appello, è tenuta a decidere la causa nel merito, trattandosi di mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo, e non ostandovi il principio del doppio grado di giurisdizione, che nel nostro ordinamento processuale non ha una garanzia costituzionale, e che, comunque, impone esclusivamente che una questione venga successivamente proposta a due giudici di grado diverso e non anche che venga decisa da entrambi.
In materia è opportuno richiamare la pronuncia della Suprema Corte Cassazione n. 2455 del 20.02.2001, la quale, investita del reclamo attinente ai vizi previsti dall’articolo 59 D.Lgs. 546/1992 ha chiarito che: “nelle ipotesi in cui il vizio denunciato non rientri in alcuno dei casi previsti dalla citata norma, è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, in difetto di che l’appello dovrà ritenersi inammissibile non potendo tali questioni essere considerate implicitamente dedotte“.
La prefata sentenza dei Supremi Giudici riveste nel campo processuale-tributario una significativa valenza perché per principio giurisprudenziale consolidato e conforme, l’impugnazione relativa esclusivamente ai vizi di rito è ammissibile a condizione che detti vizi denunciati risultino fondati; viceversa, se il vizio non rientra in uno dei casi previsti dalla più volte citata norma, è opportuno far valere con l’appello anche le questioni di merito.
La causa che porta a fare questa scelta è di ordine pratico perché, nelle ipotesi in cui l’appello è fondato esclusivamente sui vizi di rito senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo grado e il vizio non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dall’articolo 59, comma 1, D.Lgs. 546/1992, l’appello dovrà essere dichiarato inammissibile.
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