15 Giugno 2018

Rettifica della detrazione Iva esclusa se il fornitore è insolvente

di Marco Peirolo
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La Corte di giustizia, nella sentenza relativa alle cause riunite C-660/16 e C-661/16 del 31 maggio 2018, è intervenuta per definire i limiti della detraibilità dell’Iva relativa agli acconti versati al cedente nello specifico caso in cui i beni oggetto di compravendita non siano stati consegnati al cessionario a seguito di eventi che hanno portato alla condanna per truffa del cedente stesso, nel frattempo dichiarato insolvente.

L’articolo 65 Direttiva n. 2006/112/CE dispone che, in caso di pagamento di acconti prima che la cessione dei beni o la prestazione di servizi sia effettuata, l’imposta diventa esigibile al momento dell’incasso, fino a concorrenza dell’importo incassato e, simmetricamente, l’articolo 167 della stessa Direttiva prevede che il diritto di detrazione sorge quando l’imposta diventa esigibile.

Nella sentenza Firin (causa C-107/13 del 13.03.2014) è stato affermato che tali norme non possono essere applicate qualora la realizzazione del “fatto generatore dell’imposta” sia incerta al momento del versamento dell’acconto, come si verifica, in particolare, in presenza di un comportamento fraudolento tenuto dal fornitore.

Con il nuovo arresto giurisprudenziale, si è trattato di stabilire, in primo luogo, come debba essere valutata la suddetta incertezza e, in secondo luogo, se a tale proposito rilevi il fatto che la data di consegna dei beni acquistati non sia indicata nel contratto di compravendita.

In merito al primo profilo, il giudice del rinvio ha chiesto se l’intenzione del fornitore di commettere una truffa, di cui il destinatario non sia a conoscenza, assuma rilevanza in sede di valutazione della certezza circa il verificarsi del “fatto generatore dell’imposta”.

La risposta della Corte è che l’intenzione fraudolenta del fornitore non si riflette sul diritto del destinatario di detrarre l’Iva relativa all’acconto, a meno che, al momento del versamento, conoscesse, o avrebbe dovuto conoscere, il suddetto intento fraudolento.

Passando al secondo profilo considerato, la mancata esplicitazione in contratto della data di consegna dei beni non è un fattore idoneo, secondo i giudici dell’Unione, a rendere incerto il sorgere dell’evento generatore. Del resto, non è inusuale nella normale prassi commerciale che le parti pattuiscano la cessione di un bene senza stabilire la data precisa in cui l’operazione avrà luogo. Di conseguenza, nella misura in cui l’acquirente non disponga di alcun elemento per mettere in dubbio la capacità e l’intenzione del venditore di adempiere le proprie obbligazioni, non vi è motivo per ritenere che la cessione fosse incerta al momento del versamento dell’acconto.

L’ulteriore aspetto esaminato dai giudici dell’Unione attiene all’obbligo della rettifica della detrazione qualora si rientri nella situazione contemplata dall’articolo 185 Direttiva n. 2006/112/CE, riferita all’ipotesi in cui, successivamente alla presentazione della dichiarazione Iva, siano mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo della detrazione.

Nella richiamata sentenza Firin è stato evidenziato che, in caso di indebita applicazione dell’Iva, le controparti non sono trattate in modo identico, in quanto il fornitore resta debitore dell’imposta addebitata in fattura ex articolo 203 Direttiva n. 2006/112/CE, mentre il cliente non può esercitare la detrazione, siccome limitata alla sola imposta relativa alle operazioni aventi natura imponibile.

In tale situazione, il principio di neutralità fiscale è garantito dalla possibilità, per il fornitore, di attivare la procedura di variazione, con il conseguente recupero dell’imposta da parte del cliente o, in difetto, dalla possibilità, da parte di quest’ultimo, di agire nei confronti del fornitore per ottenere la restituzione dell’imposta secondo i rimedi previsti dal diritto nazionale (in Italia, azione di indebito oggettivo, ex articolo 2033 cod. civ.).

Con il nuovo intervento della Corte vengono considerate applicabili, mutatis mutandis, le indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria nell’ipotesi in cui il fornitore sia in stato di insolvenza e, quindi, il recupero nei suoi confronti dell’imposta versata sull’acconto sia eccessivamente difficile se non, addirittura, impossibile.

Nella sentenza Reemtsma Cigarettenfabriken, di cui alla causa C-35/05 del 15.03.2007, si afferma che, “in via di principio, un sistema come quello in discussione nella causa principale, in cui, da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’Iva alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore, rispetta i principi di neutralità ed effettività. Tale sistema, infatti, consente a detto destinatario gravato dell’imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate”. Tuttavia, “se il rimborso dell’Iva risulta impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d’insolvenza del prestatore, detti principi possono imporre che il destinatario di servizi sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie. Gli Stati membri devono dunque prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività”.

In definitiva, se è vero che il cessionario dovrebbe rettificare la detrazione operata in quanto il bene oggetto di acquisto non è utilizzato nell’ambito dell’impresa, la soluzione considerata più ragionevole dal nuovo arresto della Corte è quella di considerare detraibile l’imposta assolta sull’acconto. In tal modo evitando che il cessionario, dopo avere operato la rettifica dell’imposta detratta, ne chieda la restituzione all’Autorità fiscale.

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