29 Giugno 2018

Interessi fiscali: non sono tutti uguali

di Massimiliano Tasini
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Nel nostro codice civile gli interessi sono di due tipi: quelli corrispettivi di cui agli articoli 1282 ss. cod. civ., posti a carico del debitore come corrispettivo per il godimento di una somma di danaro, e quelli moratori di cui agli articoli 1224 ss. cod. civ., dovuti in caso di inadempimento di una obbligazione pecuniaria da parte del debitore e volti a risarcire il danno così causato.

La materia tributaria non poteva giovarsi di tale semplicità.

Lo sa bene il legislatore del 2015, che con il D.Lgs. 159/2015 ha cercato di scardinare un meccanismo a dir poco farraginoso, stabilendo all’articolo 13 che, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto, il Ministro dell’economia e delle finanze avrebbe dovuto emanare un decreto per stabilire “la misura e la decorrenza dell’applicazione del tasso di cui al comma 1”, ovvero di un “tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo” da determinarsi “possibilmente (sic…) in misura unica, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, compresa nell’intervallo tra lo 0,5 per cento e il 4,5 per cento”.

I tempi di un tale semplice provvedimento non sono evidentemente “maturi”, di talché è tuttora necessario entrare nella giungla della vigente normativa.

Per darci un’idea della difficoltà, basterà ragionare sulle sole imposte dirette, che distinguono tra:

  • interessi per ritardato pagamento da attività di liquidazione e controllo formale, attualmente regolati dal D.M. 21.05.2009 e fissati nella misura del 3,5% con decorrenza 2007;
  • interessi per rateazione delle somme dovute in pagamento in conseguenza di attività di liquidazione e controllo formale, attualmente regolati come al punto precedente;
  • interessi per rateazione delle somme in pagamento, disciplinati invece dall’articolo 20 D.Lgs. 241/1997, poi regolamentati dal citato D.M. 21.05.2009 e fissati nella (diversa) misura del 4%, sempre con decorrenza 2007;
  • interessi per ritardata iscrizione a ruolo delle imposte dirette, previsti ancora dall’articolo 20 D.P.R. 602/1973, la cui disciplina è stata poi modificata ancora dal D.M. 21.05.2009, che prevede una misura ancora del 4% ma stavolta con decorrenza 1° ottobre 2009;
  • interessi per dilazione di pagamento, disciplinati stavolta dall’articolo 21 D.P.R. 602/1973 citato, previsione ancora una volta trasfusa nel D.M. 21.05.2009 e dovuti nella (ancora una volta) diversa misura del 4,5% con decorrenza 2009;
  • interessi di mora, fissati dall’articolo 30 D.P.R. 602/1973, la cui misura è fissata con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Attualmente, se non ci siamo persi qualcosa, essi sono pari al 3,1%, come fissati dal Provvedimento 10.05.2018 con effetto dal 15 maggio 2018.

Andrebbero poi richiamate le misure degli interessi a favore del contribuente per i rimborsi allo stesso dovuti.

Tra le molteplici incoerenze derivanti da questo guazzabuglio, piace citarne due.

Il primo riguarda la rottamazione delle liti, contemplata dall’articolo 11 D.L. 50/2017. La circolare AdE 22/E/2017, al riguardo, precisa che ”la somma dovuta per la definizione, cosiddetto “importo lordo dovuto”, è costituita:

– “da tutti gli importi spettanti all’Agenzia delle entrate, richiesti con l’atto impugnato, nella misura in cui sono stati contestati con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, con esclusione solo delle sanzioni pecuniarie amministrativo-tributarie collegate al tributo. In particolare, per quanto concerne gli interessi, occorre tener conto di quelli di cui all’atto impugnato calcolati fino alla data di notifica dell’atto stesso”. Riguardo a quest’ultimo aspetto, la nota della stessa Circolare precisa, quasi fosse un dettaglio, che “Tenuto conto che, di regola, gli interessi inclusi nell’atto impositivo sono calcolati fino alla data di emissione dello stesso (non coincidente con quella di notifica), occorre provvedere al ricalcolo di detti interessi fino alla data di effettiva notifica dell’atto impugnato”.

E fin qui si poteva immaginare.

Ma la nota prosegue, precisando che “in relazione agli atti di accertamento, si precisa che non si deve fare riferimento alla misura degli interessi indicata ai fini della definizione dell’accertamento ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”.

In effetti, l’articolo 6, comma 2, D.M. 21.05.2009 stabilisce che sono fissati nella misura del 3,5% gli interessi relativi alle somme dovute a seguito (tra l’altro) di rinuncia all’impugnazione dell’accertamento di cui all’articolo 15 D.Lgs. 218/1997 ed accertamento con adesione di cui all’articolo 8 D.Lgs. 218/1997.

Come dire: se litighi con il fisco l’interesse è più alto

L’altra “chicca” riguarda gli interessi di mora di cui all’articolo 30 D.P.R. 602/1973. La norma stabilisce che “decorso inutilmente il termine previsto dall’articolo 25 comma 2 – ovvero il termine per il pagamento -, sulle somme iscritte a ruolo, escluse le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si applicano a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora”.

La mora, pertanto, retroagisce anche nel periodo in cui il contribuente non era inadempiente.

Un’ultima riflessione: gli interessi di mora sono più bassi di quelli di ritardato pagamento e di ritardata iscrizione.

 

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