Il trust fra luoghi comuni e falsi miti – II° parte
di Sergio PellegrinoNel contributo pubblicato ieri abbiamo evidenziato come, quando si parla di trust, “resistano” ancora molti luoghi comuni e pregiudizi.
Il primo, fondamentale da superare perché evidentemente pregiudica qualsiasi ulteriore ragionamento, è quello relativo alla legittimità del trust e alla sua riconoscibilità da parte del nostro ordinamento, che in passato qualcuno ha negato.
Recentemente non vi sono state pronunce giurisprudenziali in tal senso, ma soltanto tre anni fa il Tribunale di Udine (in composizione monocratica) nella sentenza n. 12875 del 28.02.2015 aveva negato la riconoscibilità del trust interno, sostenendo che “Nonostante la rilevata autorevolezza e la crescente diffusione dell’orientamento prevalente, questo giudice ritiene di aderire alla tesi minoritaria secondo cui lo scopo della Convenzione dell’Aja (e quindi anche della legge di ratifica) è solo quello di permettere ai trust costituiti nei paesi di common law di operare anche nei sistemi di civil law”.
Il giudice non era quindi entrato nel merito della controversia, che immancabilmente aveva ad oggetto una contesa ereditaria, ritenendo la questione risolta a priori, non essendo quel trust interno ammissibile nel nostro ordinamento (e quindi di fatto non esistendo da un punto di vista giuridico).
La posizione, va rimarcato, era, per stessa ammissione del giudice, assolutamente minoritaria e riscontrabile in pochissimi precedenti, ma, se c’era bisogno di una conferma in senso contrario, la questione della legittimità del trust è stata comunque definitivamente “smarcata” con la recente sentenza della terza sezione della Corte di Cassazione n. 9637 del 19.04.2018.
Nella pronuncia in questione viene affermato che “La Corte di merito … ha poi aggiunto che il trust, non essendo un contratto tipico, deve essere valutato, ai sensi dell’articolo 1322 cod. civ., al fine di stabilire se corrisponda o meno ad una finalità meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico interno. Tale ulteriore rilievo è errato, perché … la valutazione (astratta) della meritevolezza di tutela è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore. La legge 16 ottobre 1989, n. 364 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985), infatti, riconoscendo piena validità alla citata Convenzione dell’Aja ha dato cittadinanza nel nostro ordinamento, se così si può dire, l’istituto in oggetto, per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal citato articolo 1322 cod. civ. …”.
Secondo la visione proposta dalla Suprema Corte, il trust interno non solo è perfettamente legittimo, ma esso ha trovato piena “cittadinanza nel nostro ordinamento”, tant’è che, per sceglierlo, non occorre dimostrarne la “residualità”, ossia l’impossibilità di raggiungere lo stesso risultato con gli istituti “tipici” del nostro diritto, come alcuni sostenevano: la valutazione della meritevolezza di tutela è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore, e non compete quindi al giudice. Il trust è di fatto divenuto anch’esso un istituto “tipico”, con pari dignità rispetto agli altri.
Va detto che era stato in ogni caso già il legislatore a risolvere il dubbio alla radice, per chi ancora l’avesse avuto, con la L. 112/2016 sul dopo di noi che, pur fra molti difetti, ha l’innegabile merito di aver consacrato il trust come strumento giuridico “irrinunciabile” (e quindi evidentemente legittimo), peraltro in un ambito così rilevante quale quello della tutela dei soggetti affetti da grave disabilità.
Il tema della legittimità del trust interno e della sua riconoscibilità da parte del nostro ordinamento non può quindi essere più messo in discussione da alcuno e deve essere dunque definitivamente “archiviato”.
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