11 Luglio 2018

Il trust fra luoghi comuni e falsi miti – VI° parte

di Sergio Pellegrino
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Continuando la nostra analisi sulle “obiezioni” che più frequentemente vengono mosse in relazione all’istituzione del trust, oggi ci occupiamo di quella relativa all’assenza di una disciplina interna (tranne, evidentemente, per la fattispecie del trust del dopo di noi, regolato dalla L. 112/2016).

Con la L. 364/1989 “Legge applicabile ai trust e loro riconoscimento, infatti, il nostro legislatore ha dato attuazione alla Convenzione de l’Aja del 1985, ma questa non è, evidentemente, la legge regolatrice del trust.

L’articolo 6 della Convenzione prevede che il disponente che istituisce il trust decida da quale legge debba essere regolato e, secondo alcuni, il fatto che non vi sia una legge italiana rappresenterebbe una limitazione importante, che pregiudicherebbe in qualche modo la sua utilizzabilità nel nostro ordinamento o, quantomeno, rappresenterebbe un elemento di forte rischio.

È subito necessaria una puntualizzazione: se anche un domani venisse approvata una legge italiana sul trust, il soggetto che istituisce il trust non sarebbe comunque tenuto ad applicarla necessariamente, ben potendo scegliere, sulla base della previsione convenzionale, una qualsiasi legge regolatrice, non essendo mai vincolato ad adottare la legge che regolamenta l’istituto nell’ordinamento di appartenenza.

La mancanza di una legge italiana che regolamenti il trust in realtà non è “penalizzante”.

Intanto, perché non è detto che questa legge, laddove venisse promulgata, sarebbe necessariamente “scritta bene”: negli ultimi 15 anni sono stati introdotti nel nostro ordinamento numerosi istituti giuridici (per citarne alcuni, i patrimoni destinati ad uno specifico affare, gli atti di destinazione, i patti di famiglia, …), che hanno avuto, oggettivamente, un limitato utilizzo dal punto di vista pratico, evidenziando delle limitazioni strutturali.

Questa evidenza viene rafforzata dallo stesso trust della legge sul dopo di noi, l’unico tipizzato nel nostro ordinamento, atteso che il provvedimento legislativo in questione ha, dal mio punto di vista, più una valenza simbolica (di legittimazione del ruolo del trust) che concreta (come strumento utile per far fronte alle esigenze di tutela dei disabili gravi).

I vincoli posti dal legislatore sono così stringenti da rendere questa opzione difficilmente “percorribile” per la maggior parte delle famiglie che si devono occupare di un congiunto disabile disponendo di un patrimonio “normale”: se gli esclusivi beneficiari del trust devono essere le persone con disabilità grave e i beni conferiti devono essere destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust, è evidente che soltanto una parte del patrimonio può essere disposta in trust, dovendosi infatti tenere in considerazione anche le esigenze degli altri componenti del nucleo familiare.

Per questo motivo le famiglie che hanno questo tipo di situazione continuano a rivolgersi al trust come istituto giuridico idoneo a far fronte ai loro problemi, ma soltanto in limitati casi utilizzando la versione “tipizzata” della L. 112/2016.

C’è poi un’ulteriore (più) rilevante considerazione da fare: la legge regolatrice è sicuramente importante, ma nella vita del trust assume rilevanza centrale l’atto istitutivo e le scelte che in esso si compiono, essendo queste destinate a regolare ogni fattispecie che riguarda la vita del trust, anche derogando a quanto prevede la legge.

Certo, bisogna fare attenzione alla presenza di eventuali disposizioni inderogabili nel corpo normativo prescelto, che, se non conosciute e affrontate, potrebbero determinare conseguenze disastrose, così come a quelle previsioni che attribuiscono poteri al disponente che i nostri giudici ritengono “snaturare” le logiche del trust convenzionale e quindi ne pregiudicano la riconoscibilità.

Il fatto che le leggi regolatrici maggiormente utilizzate siano in inglese, e l’inglese giuridico sia ovviamente più complesso di quello comune, non mi pare ostacolo insuperabile.

Evidentemente la legge di San Marino ci “faciliterebbe” da questo punto di vista la vita, essendo scritta in italiano e per il “mercato” italiano, ma non molti trust la adottano per i costi aggiuntivi che comporta: sia in fase istitutiva, essendo previsto un vaglio di legittimità da parte di un notaio sanmarinese, che per la successiva gestione, richiedendosi la presenza di un agente residente.

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