Sovraindebitamento: l’insostenibile durata del piano del consumatore
di Massimo ConigliaroAcque chete e tempi lunghi in riva al Lago. Con una argomentata e convincente decisione il Tribunale di Como ha omologato un piano del consumatore con dilazione a 20 anni (decreto 24 maggio 2018, Est. Petronzi).
Il tema è delicato ed è stato oggetto di recente di un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale, di cui abbiamo dato conto anche nell’ultima edizione del Master Breve Euroconference.
Invero, in assenza di un univoco dato normativo che stabilisca in maniera chiara il perimetro temporale nel quale si debbono snodare le procedure di sovraindebitamento, non può che supplire – si legge nella pronuncia del Tribunale di Como – l’interpretazione giurisprudenziale del dato normativo, che presuppone, muovendosi nel tracciato dei principi di rango costituzionale, il bilanciamento di contrapposti interessi di rango costituzionale (la ragionevole durata dei procedimenti nonché la effettività della tutela giurisdizionale).
Sulla materia si sono formati due orientamenti giurisprudenziali.
Il primo che, nell’ammettere procedure di sovraindebitamento di durata anche assai rilevante, non ha mancato di sottolineare la ratio della L. 3/2012, dando maggiore rilevanza al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti del consumatore sovraindebitato, mentre l’altro ha inteso individuare il limite di siffatta tutela nell’ancora più generale (in quanto involgente un interesse collettivo) principio della ragionevole durata delle procedure giudiziarie.
Il primo orientamento ha ritenuto di ammettere piani del consumatore con dilazioni anche di 20, 25 o 30 anni (Tribunale di Catania, decreti del 27.4.2016, 17.5.2016, 24.5.2016, 12.7.2016, 15.9.2016) ovvero di 18 anni (Tribunale di Napoli decreto 28.10.2015) o di 10 anni (Tribunale Napoli, decreto 18.2.2017).
I parametri presi in considerazione da tale impostazione sono stati quelli
- i tempi di rateazione nelle imposte erariali (di 72 o 120 rate) e
- l’età del debitore, rapportata alla vita media degli uomini (79,3) o delle donne (84,6).
In particolare, nei casi affrontati, i debitori risultavano proprietari di immobili, destinati a casa familiare e non inseriti nel piano del consumatore tra i beni da mettere a disposizione dei creditori, ritenendo di salvaguardare le esigenze abitative degli interessati e perseguendo, così, quel fine sociale cui la L. 3/2012 tende.
Inoltre, in tali pronunce si è rilevato che la stagnazione del mercato immobiliare, le difficoltà di conseguire prezzi di vendita congrui in tempi accettabili e, non ultima, la considerazione che le risorse dei debitori sarebbero state penalizzate dall’esigenza di affittare un’abitazione con evidente decremento di quelle disponibili per i creditori, inducono a ritenere non utilmente praticabile l’alternativa liquidatoria.
Il secondo orientamento ha invece negato l’ammissibilità del piano nei casi di termini di pagamento di 8 anni (Tribunale Pistoia, decreto 28.2.2014), di 12 anni (Tribunale di Ravenna, decreto 10.3.2017), di 15 anni (Tribunale di Monza, decreto 2.4. 2014), di 40 anni (Tribunale di Pisa, decreto 05.7.2017).
Alcuni Tribunali si sono determinati ad ammettere le procedure ponendo un tempo massimo di ora 3 ora 5 anni (Tribunale di Rovigo, 13.12.2016; Tribunale di Milano, 27.11.16) ora 7 anni, prendendo a parametro di riferimento le indicazioni della Cassazione (n. 8468/2012) o dall’articolo 2, comma 2 bis, L. 89/2001 (Legge Pinto) che garantisce una ragionevole durata del procedimento quantificandola in misura massima di sei anni per le procedura concorsuali.
Il Tribunale di Como ritiene che non sia possibile optare per una aprioristica adesione all’uno od all’altro dei citati orientamenti, senza tenere in debita considerazione i caratteri peculiari e le specificità di ogni singola proposta di sovraindebitamento, atteso che, da un lato, proprio tale lettura è necessitata dalla stessa ratio della L. 3/2012, ispirata all’esigenza di matrice comunitaria di tutelare l’impresa e il consumatore attraverso strumenti di risoluzione della crisi o dello stato di sovraindebitamento, riconoscendo un’altra “chance”; e dall’altro solo tale lettura è idonea a rendere realmente effettivo lo speciale strumento di tutela ideato dal legislatore.
Nel caso trattato, Il piano del consumatore si fondava su una proposta dilazione del credito residuo ancora vantato da un istituto di credito per l’acquisto di un immobile destinato ad abitazione principale del debitore, con una rateazione di 20 anni, offrendo ai creditori il pagamento della complessiva somma di euro 125.000, quale capitale residuo con tasso di interesse fisso del 2,30% annuo, e con una rata mensile costante di euro 650,27, a fronte del valore stimato dell’immobile, già oggetto di procedura esecutiva immobiliare, di euro 125.108,00 (con prezzo base stimato per il primo esperimento di vendita, applicata la riduzione forfetaria del 15%, in euro 106.341,80).
La banca si era opposta alla omologa del piano lamentando essenzialmente la irragionevole durata della procedura, articolata in 20 anni.
Tuttavia il Tribunale di Como non ha accolto le osservazioni dell’istituto di credito sostenendo che il mutuo in questione fu contratto nel luglio 2007: la prospettata durata risulta compatibile con la natura giuridica del rapporto negoziale sottostante (mutuo fondiario) che secondo la prassi bancaria raggiunge tempistiche anche di molto superiori a quelle indicate nel piano del consumatore in esame.
Dall’altro lato, sottolinea il Tribunale, il debitore ha offerto al creditore l’esatto valore del credito residuo ancora vantato dall’istituto di credito (125 mila euro, oltre interessi al 2,30%), ed addirittura una somma presumibilmente superiore a quella in ipotesi ritraibile dalla procedura esecutiva (anche in caso di vendita al primo esperimento, fissato al prezzo base di perizia di euro 106.341,80), atteso che costituisce ormai un fatto notoriamente apprezzabile in termini statistici quello che gli utenti che si indirizzano verso il mercato delle vendite esecutive immobiliari usufruisce in maniera massiva della facoltà prevista dalla legge all’art. 571, II co. c.p.c., di offrire un corrispettivo ridotto fino ad un quarto rispetto al prezzo base, quale offerta minima ammissibile.
Senza considerare che in caso di allocazione sul mercato dell’immobile non al primo esperimento di vendita, ma, secondo il dato statistico medio delle procedure esecutive immobiliari registrato presso la sezione esecuzioni immobiliari del Tribunale di Como, negli esperimenti di vendita successivi, il valore di realizzo dell’immobile sarebbe insufficiente a garantire il soddisfacimento dell’intero credito, che invece nella proposta di piano del consumatore, è assicurato.
Diviene pertanto nel caso di specie non appagante, e dannoso per gli stessi interessi dei creditori, dilungarsi sull’attuale dibattito giurisprudenziale in ordine alla individuazione in astratto di un termine assoluto, da individuare quale parametro fisso rispetto al quale vagliare la meritevolezza delle procedure di sovraindebitamento, dovendosi invece preferire una ponderata valutazione sulla singola fattispecie.
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