Custodia cautelare in carcere per la frode all’Agente della riscossione
di Angelo GinexIn tema di reati tributari, è legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di un soggetto che per la particolare caratura e capacità criminale abbia saputo trasformare le proprie difficoltà imprenditoriali in un organizzato disegno criminoso di carattere transnazionale finalizzato a perseguire finalità illecite di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza 20.06.2018, n. 28515.
La vicenda prende le mosse dall’avvenuta ricostruzione di un disegno criminoso ben congegnato dall’indagato, le cui modalità attuative consistevano segnatamente nella predisposizione di perizie ideologicamente false sulla cui base venivano poi presentate querele pretestuose per i reati di usura e di estorsione nei confronti dell’Agente della riscossione funzionalmente strumentali ad ottenere i benefici di cui all’articolo 20 L. 44/1999, ossia la sospensione delle cartelle esattoriali previste dalla normativa antiusura.
A ciò seguiva la cessione dei beni dei soggetti debitori a varie società di diritto nazionale e straniero, ovvero la loro segregazione in trust costituiti con il concorso di un notaio compiacente, tutti riconducibili all’indagato che, avvalendosi di una società schermo, acquisiva il controllo dei beni di altri imprenditori coinvolti e sottratti all’Amministrazione finanziaria ed ai creditori: i predetti beni venivano, poi, “atomizzati” e ceduti a varie società di diritto nazionale e straniero, aventi sede in Slovenia, Croazia e Senegal, tramite l’apporto di diversi altri soggetti.
Il giudice per le indagini preliminari riconosceva la sussistenza di tale organizzazione criminale dedita alla realizzazione di un sistema finalizzato ad ostacolare illegittimamente l’attività esattiva dell’Agente della riscossione, nonché a sottrarre alle garanzie bancarie beni destinati alla soddisfazione dei relativi diritti di credito, e pertanto disponeva la custodia cautelare in carcere dell’indagato.
Quest’ultimo presentava istanza di riesame volta ad ottenere la revoca o, in subordine, la sostituzione della misura custodiale detentiva carceraria con quella degli arresti domiciliari, misura applicatagli in quanto indagato per associazione a delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata alla commissione di più reati, ed in particolare a sottrarre fraudolentemente cespiti al pagamento delle imposte ex articolo 11 D.Lgs. 74/2000, che veniva però rigettata dal Tribunale del riesame.
In conseguenza di ciò, l’indagato proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e il correlato vizio motivazionale in relazione all’asserita legittimità della custodia cautelare in carcere per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza, di erronea valutazione degli stessi e di difetto dei presupposti di cui all’articolo 274, lett. c), c.p.p.
Come noto, la norma appena citata stabilisce che una misura cautelare è disposta quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o da suoi precedenti penali, sussiste il concreto ed attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede.
La norma precisa, altresì, che le situazioni di concreto ed attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato.
Ebbene, nella pronuncia in rassegna, la Suprema Corte, disattendendo la tesi difensiva, secondo cui non sussistevano i presupposti per la custodia cautelare in carcere, sia riguardo alla personalità dell’indagato, sia soprattutto in relazione alla “attualità” delle esigenze cautelari, rispetto al pericolo di reiterazione, ha confermato, invece, “la particolare caratura e capacità criminale dell’indagato per aver in sostanza saputo trasformare le proprie difficoltà quale imprenditore operante in un settore lecito in un indiscutibile successo imprenditoriale del tutto illecito”.
Più precisamente, come sottolineato dai giudici di piazza Cavour, l’indagato si è dimostrato capace di reperire e consolidare contatti in diversi Paesi esteri, anche extraeuropei, per concretizzare le proprie attività criminose, ad esempio attraverso la costituzione di trust o società cui far confluire i beni sottratti all’Amministrazione finanziaria o ai creditori del settore bancario.
In definitiva, quindi, la capacità di espandere a livello transnazionale il disegno criminoso finalizzato alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte legittima la misura custodiale detentiva carceraria in luogo degli arresti domiciliari, che appaiono inidonei a neutralizzare eventuali soluzioni alternative dell’indagato a tutela dei propri interessi illeciti.