Residenze Turistico-Alberghiere: regime Iva delle vendite e degli appalti
di Cristoforo FlorioL’articolo 9, comma 5, D.Lgs. 79/2011 (c.d. “Codice del Turismo”), ricalcando la previsione del previgente articolo 6 L. 217/1983 (c.d. “Legge quadro sul turismo”), definiva le R.T.A. (acronimo di “residenza turistico-alberghiera”) quali gli “(…) esercizi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, ubicati in uno o più stabili o parti di stabili, che offrono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate, costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina (…)”.
Successivamente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 80/2012, la norma nazionale del Codice del Turismo – unitamente ad altre disposizioni in esso contenute – è stata dichiarata illegittima e la disciplina del turismo è stata integralmente rimessa alle disposizioni contenute nelle singole leggi regionali.
Ciascuna Regione italiana ha dunque disciplinato, a suo modo, la figura della R.T.A., talora denominata anche “residence” o “albergo residenziale”.
Ciò detto, si vuole in questa sede evidenziare che – con sempre maggiore frequenza – vengono proposte sul mercato forme di investimento immobiliare alternative all’acquisto della “seconda casa”, utilizzando lo strumento della R.T.A.; più specificamente e fermo restando il mantenimento del vincolo di gestione unitaria e la destinazione turistico-ricettiva dell’intero complesso immobiliare, vengono pubblicizzate delle iniziative imprenditoriali consistenti nella realizzazione di una operazione di frazionamento della R.T.A., con vendita agli acquirenti finali di una o più delle singole unità abitative che lo compongono (c.d. “compravendita frazionata di strutture ricettive”).
Non si affronteranno in questa sede i profili di legittimità civilistica e urbanistica dei citati negozi di compravendita, che tuttavia dovranno sempre essere attentamente valutati di volta in volta dall’acquirente, sulla base delle disposizioni previste dalle leggi regionali, anche mediante i propri professionisti e tecnici di fiducia (sulla legittimità di tali operazioni si veda Notariato, Studio n. 518-2007/C).
Nel presente contributo saranno invece oggetto di analisi gli aspetti tributari connessi al fenomeno delle “compravendite frazionate” precedentemente descritto, poste in essere da soggetti Iva, ed alle relative operazioni di appalto (per la costruzione, la ristrutturazione e/o il frazionamento), con particolare riguardo all’Iva.
Sul punto va evidenziato che l’Agenzia delle Entrate ha fornito nel tempo alcuni chiarimenti in merito alla tematica in trattazione, manifestando tuttavia un orientamento non sempre univoco.
Nella più recente risoluzione AdE 8/E/2014 è stato chiarito che, relativamente alle cessioni di unità immobiliari facenti parte di una R.T.A., assume sempre rilievo centrale il classamento catastale dell’immobile oggetto di cessione.
La classificazione catastale, quindi, costituisce il criterio oggettivo cui attenersi per la distinzione tra fabbricati strumentali e fabbricati ad uso abitativo, ai fini dell’applicazione delle imposte indirette, prescindendo dall’effettivo utilizzo dell’immobile (in questo senso si veda anche la circolare AdE 27/E/2006).
La destinazione turistico-ricettiva del complesso immobiliare cui appartengono le unità oggetto di cessione non assume pertanto alcun rilievo ai fini dell’applicazione delle imposte indirette sulla compravendita; se, come nel caso rappresentato dal contribuente nella richiamata risoluzione del 2014, le unità immobiliari facenti parte della R.T.A. sono classificate – in parte – nella categoria A e, in altra parte, nella categoria D/2 (alberghi e pensioni), occorrerà che il soggetto Iva che pone in essere la “cessione frazionata” si attenga – per la categoria A – alle regole previste per i trasferimenti dei fabbricati abitativi (articolo 10, comma 1, n. 8-bis, D.P.R. 633/1972) e – per la categoria D/2 – a quelle previste per i fabbricati strumentali (articolo 10, comma 1, n. 8-ter, D.P.R. 633/1972).
Sotto il profilo della disciplina Iva relativa agli appalti inerenti tali unità immobiliari, va evidenziato che si potrà usufruire dell’aliquota agevolata Iva in caso di compresenza – nel medesimo edificio – di parti a destinazione abitativa e di altre porzioni a destinazione non abitativa, sempre che risultino rispettate le proporzioni tra unità abitative ed uffici e negozi richieste per gli edifici c.d. “Tupini”.
In tale ipotesi – ha chiarito l’Agenzia delle Entrate – le prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto saranno assoggettate all’aliquota Iva del 10% (numero 127-quaterdecies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. 633/1972) oppure all’aliquota Iva del 4% nel caso in cui le predette prestazioni siano rese nei confronti di soggetti che svolgono l’attività di costruzione di immobili per la successiva vendita (numero 39 della Tabella A, parte II, allegata al D.P.R. 633/1972).
La richiamata prassi amministrativa, ufficializzata nella risoluzione AdE 8/E/2014, in coerenza con il disegno di riforma della tassazione immobiliare operato dal D.L. 223/2006, ha quindi ritenuto superato l’orientamento che era stato espresso da parte della stessa Amministrazione finanziaria nella precedente risoluzione 321/E/2002. In tale ambito era stato chiarito che la costruzione di un residence è un’operazione finalizzata all’esercizio di una attività turistico-alberghiera e, pertanto, le unità immobiliari che lo compongono (nel caso di specie, i c.d. “bungalow”) costituiscono di fatto un luogo deputato all’esercizio di una attività di impresa; pertanto, secondo tale interpretazione, tale circostanza avrebbe escluso che le suddette unità abitative potessero essere assimilate alle case di civile abitazione, con la conseguenza che le prestazioni di appalto per la loro costruzione non potevano mai rientrare nell’aliquota agevolata Iva ma dovevano necessariamente scontare la suddetta imposta in misura ordinaria.
Circa l’applicabilità delle agevolazioni fiscali previste per le vendite di unità abitative facenti parte di una R.T.A., la precedente risoluzione AdE 14/E/1996 aveva già chiarito, richiamando gli orientamenti espressi in materia dalla Corte di Cassazione (si vedano le sentenze n. 1036 del 18.03.1975 e n. 3058 del 09.05.1981), che “(…) le cessioni di unità immobiliari facenti parte del residence sono da assoggettare all’aliquota Iva prevista per le case di civile abitazione non di lusso qualora le strutture e le caratteristiche intrinseche delle unità stesse siano tali da renderle idonee ad ospitare un nucleo familiare, offrendo le condizioni di abitabilità necessarie per il quotidiano svolgimento di vita domestica (…)”.
Pertanto, quando le unità immobiliari della R.T.A. sono qualificabili come case di abitazione non di lusso (categoria catastale “A” e relative pertinenze, con esclusione delle categorie A/1, A/8 e A/9) e risultano soddisfatte le altre previsioni di cui alla nota II-bis della Tariffa, parte prima, articolo 1, allegata al D.P.R. 131/1986, la cessione immobiliare in questione è ammessa al beneficio della “agevolazione prima casa”, con applicazione dell’aliquota Iva del 4% sul prezzo di compravendita.
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