Come si supera la presunzione di esterovestizione societaria?
di Marco BargagliA livello domestico, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, Tuir una società di capitali è considerata fiscalmente residente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta ha mantenuto la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Tali criteri di radicamento con il territorio dello Stato sono fra loro alternativi e, quindi, basta il realizzarsi di uno solo di essi affinché la società o l’ente vengano sottoposti a tassazione in Italia, in base del noto principio della tassazione su base mondiale (c.d. worldwide principle).
Con lo scopo di rafforzare la lotta all’evasione in ambito internazionale, il D.L. 223/2006 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico un meccanismo che, in virtù di una presunzione legale relativa, pone l’onere della prova in capo al soggetto estero che viene considerato presuntivamente esterovestito.
In particolare, ai sensi dell’articolo 73, comma 5-bis, Tuir viene stabilito che, “salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:
- sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
- sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.
Sullo specifico punto, l’Agenzia delle entrate, nella circolare 28/E/2006, ha precisato che in applicazione della norma in rassegna, il soggetto estero si considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e sarà quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l’ordinamento prevede per le società e gli enti residenti.
Il citato documento di prassi precisa che gli effetti di più immediato impatto per le sub-holding esterovestite riguardano:
- i capital gain realizzati dalla cessione di partecipazioni da assoggettare al regime di imponibilità o di esenzione previsti dagli articoli 86 e 87 Tuir;
- le ritenute da operare sui pagamenti di interessi, dividendi e royalty corrisposti a non residenti o sui pagamenti di interessi e royalty corrisposti a soggetti residenti fuori del regime di impresa;
- il concorso al reddito, in misura pari al 100% del loro ammontare, degli utili di partecipazione provenienti da società residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Di contro, i predetti soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi, interessi e royalty in uscita dall’Italia e potranno scomputare in sede di dichiarazione annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di imposta per il quale sono da considerare residenti, anche se sono originariamente state operate a titolo di imposta.
Inoltre, tale normativa risulta applicabile anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub-holding estere.
Infatti, la presunzione di residenza in Italia della società estera che direttamente controlla una società italiana, renderà operativa la presunzione anche per la società estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena societaria; quest’ultima si troverà a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata residente in Italia.
Sotto il profilo sostanziale, a parere di chi scrive, la società estera dovrà dimostrare:
- di avere mantenuto all’estero la propria sede dell’amministrazione;
- di esercitare all’estero un’effettiva attività commerciale, industriale, di servizi;
- di avere costituito, oltre frontiera, un’idonea organizzazione di uomini e mezzi necessaria per lo svolgimento della propria attività;
- di non essersi insediata all’estero per motivazioni esclusivamente fiscali;
- di non essere qualificabile come una struttura di puro artificio, in linea con gli indicatori all’uopo diramati da parte dell’Agenzia delle entrate, con la circolare 51/E/2010.
Conformemente, la richiamata circolare n. 28/E/2006 ha chiarito che il contribuente per vincere la presunzione dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero.
Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.