17 Settembre 2018

Sport e terzo settore – II° parte

di Guido Martinelli
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Problema sicuramente più delicato, anche per la diffusione e il “peso specifico” della agevolazione, diventa analizzare se gli enti del terzo settore che fanno sport possano applicare le agevolazioni sui compensi previsti per le società e associazioni sportive dilettantistiche dal combinato disposto di cui agli articoli 67, comma 1, lett. m) e 69 Tuir.

Le norme indicate prevedono che rientrano nel campo di applicazione “qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche”. Ne conseguirebbe, quindi, che anche gli enti del terzo settore che siano riconosciuti ai fini sportivi mediante iscrizione all’apposito registro potrebbero godere di detti benefici. Ciò, ovviamente, se questo non fosse impedito da altra norma.

Qualche perplessità nasce, infatti, dalla lettura del D.Lgs. 117/2017, meglio noto come codice del terzo settore.

Infatti il comma tre dell’articolo 17 D.Lgs. 117/2017 prevede espressamente che per il volontario: “sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario”. Infatti la sua attività non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario”. Ne consegue che, non solo per il descritto dettato normativo ma anche per ragioni di sistema con gli altri enti del terzo settore, appare difficilmente ipotizzabile che i “volontari” del terzo settore dediti allo sport dilettantistico possano percepire i rimborsi forfetari in esame, a maggior ragione i compensi.

Resta ora da vedere se, verificato che non si possa corrispondere i compensi sportivi ai “volontari” lo si possa fare ai c.d. “lavoratori” del terzo settore disciplinati dall’articolo 16 D.Lgs. 117/2017.

La norma prevede che: “I lavoratori degli enti del terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”. Il problema è capire se il termine “lavoratori” si riferisca solo ai lavoratori subordinati o possa estendersi anche agli autonomi. Se il riferimento fosse solo per i primi ci si potrebbe chiedere quale sia il senso della norma. Infatti è costante interpretazione giurisprudenziale che nel nostro ordinamento non vi sia alcun obbligo da parte del datore di lavoro, non iscritto ad una organizzazione datoriale firmataria di un contratto collettivo, di applicare il Ccnl del settore merceologico in cui l’impresa opera, né sussiste il dovere di applicare “un” contratto collettivo; sussiste però l’obbligo di riconoscere ai lavoratori una retribuzione non inferiore ai minimi tabellari del Ccnl di settore, in virtù della norma costituzionale che riconosce ad ogni lavoratore il diritto ad una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (articolo 36 Cost.). In sostanza, secondo l’interpretazione comune, il contratto collettivo del settore stabilisce il parametro minimo retributivo a prescindere dal fatto che il datore di lavoro vi aderisca o no.

Pertanto per quale motivo ribadirlo se non per ampliarne la portata anche ai lavoratori autonomi? Ma se così fosse, ammesso che con i compensi sportivi si possa, sotto il profilo economico, non porsi al di sotto dei contratti di lavoro di categoria, con ben maggiori difficoltà potrebbe rientrare nel concetto di trattamento normativo non inferiore a quello contrattuale un compenso, come quello in esame, privo di tutela previdenziale, assistenziale e assicurativa.

Ma se così fosse tutta la disciplina di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir, non solo per la parte “sportiva” ma anche per quella relativa ai cori, bande e filodrammatiche, non potrebbe trovare applicazione nei confronti dei soggetti del terzo settore per contrasto con l’articolo 16 D.Lgs. 117/2017.

Non vi è dubbio che un chiarimento da parte degli organi competenti sul punto è quanto mai auspicabile.

Anche perché scelta analoga dovrà essere compiuta da quelle Asd che siano anche iscritte nei registri delle Onlus. Infatti, la vigente disciplina di cui agli articoli 10 e ss. D.Lgs. 460/1997 sarà definitivamente abrogata dal periodo di imposta successivo a quello della definitiva entrata in vigore del registro unico del terzo settore. Entro quella data le sportive Onlus dovranno decidere se rimanere solo sportive iscritte al registro Coni o entrare nel terzo settore.

Ma a fronte della perdita del diritto di applicare la L. 398/1991 e l’articolo 148, comma 3, Tuir (ad eccezione delle associazioni di promozione sociale che mantengono una parziale defiscalizzazione sulle prestazioni di servizi agli associati) cosa “guadagnano” gli enti del terzo settore.

Iniziamo richiamando i vantaggi “extra fiscali”:

  • l’applicazione delle norme di cui agli articoli 55 e 56 D.Lgs. 117/2017 in materia di rapporto con gli enti pubblici e di cui agli articoli da 67 a 71 D.Lgs. 117/2017 (accesso al credito agevolato e al fondo sociale europeo, facilitazioni nell’utilizzo di locali, strutture della pubblica amministrazione, autorizzazioni temporanee per la somministrazione, privilegio sui crediti),
  • il diritto di godere dei servizi che saranno erogati dai centri di servizio per il volontariato e delle risorse finanziarie previste dagli articoli da 72 a 75 D.Lgs. 117/2017.

Difficilmente, invece, potranno accedere ai titoli di solidarietà di cui all’articolo 77 D.Lgs. 117/2017 in quanto questi sono riservati, come forma di finanziamento, agli enti del terzo settore “non commerciali” e, per la specificità dell’attività svolta dalle sportive, si ritiene che poche di esse, quali ets, potranno essere ritenute “non commerciali” sulla base dei parametri di cui all’articolo 79 D.Lgs. 117/2017.

Avranno il diritto, sotto il profilo fiscale, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, in presenza di volumi d’affari commerciali inferiori ai 130.000 euro di applicare l’articolo 86 D.Lgs. 117/2017 che appare, mediamente, sia pure per un ammontare di corrispettivi inferiore, più vantaggioso di quello previsto dalla L. 398/1991.

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