Emendabile in sede contenziosa l’errore del modello dichiarativo
di Angelo GinexIn tema di omessa dichiarazione dei redditi, il contribuente ha la possibilità di rettificare gli errori di fatto o di diritto compiuti, sia entro il termine previsto dalla legge per presentare istanza di rimborso, sia opponendosi in sede giudiziale alla maggiore pretesa impositiva vantata dall’Amministrazione finanziaria. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 16244 del 20.06.2018.
La vicenda trae origine dalla notifica di una cartella di pagamento, emessa a seguito di un controllo automatico ai sensi dell’articolo 36-bis D.P.R. 600/1973, recante rettifiche in aumento sui redditi dichiarati da un contribuente.
La pretesa impositiva derivava dall’errore commesso dal dichiarante all’atto della redazione del Modello Unico, in quanto egli aveva utilizzato un modello non previsto per l’anno corrente e nel quale aveva inserito dati reddituali dell’anno precedente, pur correttamente versando le somme dovute sulla base reddituale dell’anno in corso.
Ad ogni modo, l’inesattezza veniva corretta presentando successivamente il prescritto Modello Unico, dal quale era possibile, inoltre, arguire che i versamenti effettuati in costanza dell’errore erano comunque esatti. Ciononostante, l’Amministrazione finanziaria notificava la summenzionata cartella di pagamento, la quale veniva impugnata dinanzi al giudice tributario.
Sennonché, tanto il giudice di prime cure, quanto quello del gravame rigettavano le impugnazioni rilevando, questi ultimi, che la dichiarazione redatta su un modello non conforme a quello approvato per l’anno in corso è da considerarsi non soltanto errata, ma addirittura omessa.
Pertanto, la dichiarazione non poteva essere emendata e, a fortiori, la rettifica presentata dal soggetto era fuori termine.
Il contribuente procedeva, pertanto, a proporre ricorso per cassazione per violazione, tra le altre norme, degli articoli 1 e 2 D.P.R. 322/1998, sull’assunto che il giudice di seconde cure, nell’emanare il proprio provvedimento, avesse erroneamente reputato omessa la dichiarazione esistente, seppur viziata.
Conseguentemente, il ricorrente si doleva dell’erroneo giudizio di tardività della dichiarazione integrativa, in quanto il giudice non avrebbe considerato rispettato il termine di cui all’articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998.
Da ultimo, il giudice non avrebbe ritenuto che al dichiarante fosse consentito integrare la dichiarazione dei redditi anche in sede contenziosa.
Accolto, pur con limiti, detto motivo di ricorso, i Supremi giudici hanno nuovamente rivolto la propria attenzione sulla disciplina relativa alla emendazione in giudizio degli errori compiuti in sede di dichiarazione.
Essi dunque, riallacciandosi ad un precedente giurisprudenziale, hanno rilevato come la dichiarazione redatta per errore su un modello non conforme a quello in vigore per l’anno d’imposta debba reputarsi nulla e, quindi, omessa (Cassazione, n. 9973/2015).
Per quanto attiene ai termini per presentare la rettifica, poi, le Sezioni Unite hanno rilevato che la dichiarazione integrativa può essere presentata, ai sensi degli articoli 2, comma 8 e 8, comma 6-bis, D.P.R. 322/1998, entro i termini di cui all’articolo 43 D.P.R. 600/1973, qualora rivolta ad evitare un danno all’Amministrazione finanziaria; mentre, se preordinata ad evitare un danno al contribuente, la corretta dichiarazione può essere presentata, ex articoli 2, comma 8-bis e 8, comma 6-quater, D.P.R. 322/1998, entro il periodo d’imposta successivo (cfr., SS.UU., n. 13378/2016; SS.UU., n. 15063/2002).
Resta ferma, comunque, la possibilità di opporsi in sede di accertamento o in quella giurisdizionale all’eventuale maggiore pretesa tributaria vantata dall’Amministrazione finanziaria, che nel caso in rassegna è stata illegittimamente negata da parte del giudice tributario.
In definitiva, quindi, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza con rinvio al giudice di seconda istanza, demandandogli l’apprezzamento della legittimità della successiva cartella di pagamento notificata, avendo noto il corretto versamento degli importi da parte del contribuente e del carattere incontestato di tale circostanza.
In tal modo, dunque, si è voluto ancora una volta tutelare la posizione del contribuente dinanzi ad un comportamento in aperto contrasto col principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, ex articolo 97 Cost., e con l’obbligo di buona fede e correttezza, di cui all’articolo 10 L. 212/2000, che hanno costituito inoltre motivo di doglianza e che sono stati reputati assorbiti dai giudici di Piazza Cavour.