Società tra avvocati e reddito d’impresa
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariTra le tante questioni critiche che hanno accompagnato, sin dall’inizio, le società tra professionisti, il tema della natura del reddito prodotto dalle stesse è sempre stato uno dei principali problemi.
Recentemente, l’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad un’istanza di interpello ha chiarito che le società tra professionisti producono reddito d’impresa, con conseguente applicazione del principio di competenza e non quello di cassa.
Più nel dettaglio, si richiama la risoluzione 35/E/2018, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ad un’istanza di interpello formulata al fine di conoscere la natura del reddito prodotto dalle società tra avvocati (Sta) costituite ai sensi dell’articolo 4-bis L. 247/2012.
Il documento di prassi in questione ribalta quanto in passato aveva affermato l’Agenzia (risoluzione 118/E/2003, secondo la quale i redditi prodotti dalle Sta rientravano tra quelli di lavoro autonomo), tenendo conto che l’articolo 4-bis L. 247/2012 (introdotto dall’articolo 1, comma 141, L. 124/2017) disciplina l’esercizio della professione forense in forma societaria.
Secondo tale disposizione, l’esercizio della professione forense è consentita in forma di società di persone, di società di capitali o di società cooperativa, con iscrizione in apposita sezione dell’albo tenuto dall’ordine territoriale in cui ha sede la società.
Devono inoltre sussistere le seguenti condizioni che di seguito si elencano:
- i due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto deve appartenere a soci avvocati iscritti all’albo, ovvero ad avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in altri albi di altre professioni (società miste);
- la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati;
- i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale;
- i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.
L’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione 35/E/2018, parte dall’assunto che le società tra avvocati sono costituite secondo i modelli societari tradizionali previsti dai titoli V e VI del codice civile, non costituendo quindi un modello autonomo rispetto a quelli già previsti.
Pertanto, trattandosi di società commerciali a tutti gli effetti, l’attività posta in essere dalle Sta è un’attività d’impresa.
Tale aspetto era già stato oggetto di conferma da parte della Direzione del Dipartimento delle Finanze con la nota del 19 dicembre 2017 (n. 43619), secondo cui tali società, in mancanza di deroghe espresse nella disposizione, devono essere valorizzate secondo l’elemento soggettivo (modello societario) e non per quello oggettivo dello svolgimento della professione legale.
Come anticipato, in passato le società tra avvocati era disciplinate dal D.Lgs. 96/2001, in cui si individuava un nuovo modello societario con regole tutte proprie in tema di oggetto dell’attività, obblighi di registrazione, regime di responsabilità e rapporti con i clienti.
Ciò aveva portato l’Amministrazione Finanziaria a qualificare commerciali tali società ai soli fini civilistici, mentre ai fini fiscali la risoluzione AdE 118/E/2003 riteneva necessario avere riguardo all’attività professionale svolta.
A differenti conclusioni perviene l’Agenzia delle Entrate in relazione alle “nuove” società tra avvocati di cui all’articolo 4-bis L. 247/2012, per le quali, a prescindere dal modello societario prescelto, (società di persone, società di capitali o società cooperative) si rendono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 6, ultimo comma, e 81 Tuir, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società commerciali è considerato in ogni caso reddito d’impresa.
L’Agenzia conclude pertanto che le società tra avvocati (nel caso di specie si tratta di una società per azioni) applica il regime fiscale delle società di capitali, con conseguente assoggettamento ad Ires del reddito e ad Irap del valore della produzione.