3 Ottobre 2018

Azienda faunistico-venatoria: disciplina fiscale

di Alberto RocchiLuigi Scappini
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L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione 73/E/2018 ha inquadrato, da un punto di vista fiscale, l’attività faunistico-venatoria esercitata sul fondo dall’imprenditore agricolo.

L’attività faunistico-venatoria trova la propria disciplina nella L. 157/1992 (la cd. Legge quadro sulla caccia) con cui vengono individuate due differenti forme di gestione privata dell’attività:

  1. aziende faunistico-venatorie senza fini di lucro che vengono istituite con prevalente fine naturalistico e faunistico. In questo caso l’attività viene svolta nel rispetto di precisi programmi tesi alla conservazione e al ripristino ambientale; e
  2. aziende agri-turistico-venatorie, istituite “ai fini di impresa agricola”, nel qual caso è ammessa l’attività di allevamento di selvaggina, con successiva immissione e abbattimento della stessa nella tenuta.

L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione 73/E/2018, affronta gli aspetti fiscali legati a tale attività nell’ipotesi di imprenditore individuale e società semplice.

In particolare, le attività svolte sono le seguenti:

  • allevamento di selvaggina, alimentata con mangimi ottenuti dai terreni di cui dispone l’azienda;
  • concessione dell’esercizio dell’attività venatoria a terzi, dietro pagamento di un corrispettivo;
  • realizzazione di interventi agro-forestali volti a mantenere e ricostituire l’habitat.

L’Agenzia delle entrate evidenzia come tali attività possano rientrare tra le “altre attività agricole” di cui all’articolo 56-bis Tuir, tra cui, al comma 3, sono ricomprese quelle consistenti nelle prestazioni di servizi di cui all’articolo 2135 cod. civ..

Ne deriva che, punto di partenza della disamina, non può che essere la definizione civilistica di imprenditore agricolo che qualifica le prestazioni di servizi quali attività connesse a quelle agricole ex se, alla duplice condizione che siano rispettati i seguenti requisiti:

  • soggettivo, vi deve essere coincidenza tra soggetto che svolge le attività connesse e quello che svolge una delle attività agricole ex se, e
  • oggettivo, nell’erogazione dei servizi, l’imprenditore agricolo deve utilizzare prevalentemente attrezzature o risorse normalmente utilizzate nell’attività agricola principale.

Tale requisito è stato spiegato dall’Agenzia delle entrate con la precedente circolare 44/E/2002 in cui è stato affermato che si considera “normale l’impiego in via continuativa e sistematica di tali attrezzature nell’attività agricola principale e che, al contrario, non potrà qualificarsi come normale l’utilizzo occasionale e sporadico”, fermo restando che è sempre consentito all’imprenditore fruire di strumenti che non utilizza in via ordinaria nella propria attività.

Rispettati questi requisiti l’attività, se esercitata da un imprenditore individuale o una società semplice, può fruire, ai fini della tassazione, del regime forfettario di cui all’articolo 56-bis, comma 3, Tuir il quale consente in questi casi di determinare il reddito in misura pari al 25% dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti Iva.

Resta inteso che, per effetto di quanto previsto al successivo comma 4, è data facoltà a tali soggetti di optare per la tassazione secondo le regole ordinarie e quindi quale differenza costi e ricavi. Tale scelta sarà conveniente, in prima approssimazione, quando i costi incidono in misura superiore al 75% dei ricavi.

Ai fini della verifica della prevalenza, come affermato nella circolare AdE 44/E/2004 e confermato nella risoluzione 73/E/2018 in commento, si deve operare un confronto tra il fatturato realizzato utilizzando le attrezzature e risorse aziendali normalmente utilizzate nell’attività principale, e quello derivante dall’utilizzo di mezzi differenti. Quando il primo sarà prevalente, sarà possibile azionare l’articolo 56-bis, comma 3, Tuir, mentre negli altri casi saremo in presenza di un’attività commerciale da tassare analiticamente secondo le ordinarie regole del reddito d’impresa.

Ciò premesso, passando all’esame del caso analizzato nella risoluzione, va evidenziato come l’attività faunistico-venatoria descritta, dia luogo a un insieme di attività tra di loro interconnesse, tali da configurare una prestazione complessa. Essa consiste nella concessione dell’esercizio dell’attività venatoria a terzi, dietro pagamento di un corrispettivo: tale servizio viene alimentato a mezzo, da un lato dell’attività di ripopolamento utilizzando la selvaggina allevata sui propri terreni e dall’altro dagli interventi agro-forestali volti a mantenere e ricostituire l’habitat.

A ben vedere, l’articolo 2135 cod. civ. parla di “attività di fornitura di beni o servizi”, ove il verbo fornire, in quanto riferito ai “beni”, rimanda a una cessione con aggiunta di un servizio; in altri termini a una prestazione complessa che, nel caso di specie, è costituita dai beni (gli animali) e la messa a disposizione di un fondo reso idoneo allo scopo.

Per questo motivo, l’attività di allevamento degli animali viene attratta in tale contesto in quanto “di cui” della prestazione di servizi faunistico-venatoria, perdendo, quindi, la copertura dell’articolo 32 Tuir.

L’interpretazione fornita da parte dell’Agenzia delle entrate sembrerebbe potersi estendere anche a fattispecie similari quali la pesca sportiva praticata su fondi dell’imprenditore agricolo.

Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso:

La fiscalità dell’impresa agricola