4 Ottobre 2018

Ritrattazione e revoca della dichiarazione d’intento

di Marco Peirolo
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In un precedente intervento è stato messo in luce che le operazioni detassate ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lett. c), D.P.R. 633/1972, a differenza di quelle delle precedenti lettere a) e b), “nascono” imponibili per diventare non imponibili a seguito della consegna al cedente/prestatore della dichiarazione d’intento unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.

L’individuazione della genesi delle cessioni e delle prestazioni poste in essere nei confronti degli esportatori abituale è fondamentale, come sottolineato da Assonime nella circolare n. 20 del 17.09.2018, per determinare il trattamento impositivo applicabile nel caso in cui al fornitore venga manifestata, esplicitamente o per comportamento concludente, l’intenzione di non avvalersi più della facoltà di acquistare beni/servizi senza applicazione dell’Iva.

Prima di approfondire tale ipotesi, è opportuno ricordare che la genesi delle operazioni effettuate a favore degli esportatori abituali assume rilevanza anche nel caso in cui la dichiarazione d’intento sia mendace.

In questa evenienza, il cessionario/committente non ha diritto di acquistare i beni/servizi senza applicazione dell’imposta, in quanto l’operazione mantiene ab origine la qualifica di operazione imponibile, essendo il passaggio alla non imponibilità collegato allo status di esportatore abituale dell’acquirente e, dunque, alla corretta emissione e presentazione della dichiarazione d’intento.

Tenuto conto che la dichiarazione d’intento è da intendere come un atto fiscalmente rilevante ed, in quanto tale, ritrattabile dal cessionario/committente, la rimozione del vizio che esclude la non imponibilità fa sì che l’operazione ridiventi imponibile.

Nella situazione in esame, il cedente/prestatore è obbligato, secondo la regola generale dell’articolo 17, comma 1, D.P.R. 633/1972, all’applicazione dell’imposta mediante nota di variazione in aumento a carico del cessionario/committente e, inoltre, al cessionario/committente che abbia rettificato la dichiarazione d’intenti non si applica la sanzione proporzionale, dal 100 al 200% dell’imposta, siccome è stato eliminato completamente il rischio di perdita erariale (Cass. n. 8362/2002).

Passando all’ipotesi in cui l’esportatore abituale non intenda più avvalersi della facoltà di acquistare beni/servizi senza Iva, in altro precedente intervento è stato evidenziato:

  • da un lato, che l’esportatore abituale può revocare la dichiarazione d’intento, senza che sia previsto a tal fine un modello specifico e un obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate,
  • e, dall’altro, che, a seguito della revoca, il cedente/prestatore deve emettere fattura con addebito dell’Iva.

Tali conclusione sono state confermate dall’Agenzia delle Entrate nella consulenza giuridica n. 954-6/2018 dell’11 luglio 2018 e sono allineate alle indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5174/2018, secondo cui, “qualora la dichiarazione venga revocata, l’effetto esonerativo cessa immediatamente – o quantomeno dal momento in cui essa è portata a conoscenza – e la fatturazione che venga emessa in un momento successivo deve necessariamente tenerne conto, restando l’intera operazione soggetta al regime ordinario.

Costituisce regola generale, del resto, che le operazioni economiche sono imponibili, sicché la mancanza di alcuna delle condizioni che legittimano il regime di esenzione comporta necessariamente la piena riattivazione della regola generale, non potendosi considerare logicamente estendibile – oltre che inammissibile, in quanto risultato di analogia – l’applicazione dei requisiti richiesti per la piena efficacia della dichiarazione d’intenti all’opposta situazione”.

L’Agenzia delle Entrate, nel documento richiamato, ha ulteriormente aggiunto che, “il cessionario può manifestare al cedente la volontà di non avvalersi dell’utilizzo del plafond anche per alcune operazioni, senza per questo revocare del tutto la dichiarazione d’intento presentata” e, inoltre, “il cliente/esportatore abituale, che non intenda avvalersi della facoltà di acquistare beni e servizi senza l’applicazione dell’IVA, e, dunque, dell’utilizzo del plafond, possa esprimere tale volontà non necessariamente attraverso una manifestazione espressa, ma anche attraverso comportamenti concludenti.

Significativo in tal senso è, ad esempio, il pagamento dell’Iva addebitata in rivalsa da parte del cedente/prestatore e l’esercizio del diritto alla detrazione”.

È il caso di osservare che la detrazione è ammessa al di fuori di un contesto di frode, nel qual caso la disposizione dell’articolo 6, comma 6, DLgs. 471/1997, novellata dalla Legge di Bilancio 2018, renderebbe indetraibile l’imposta.

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Iva nazionale ed estera