4 Ottobre 2018

Inammissibili i motivi di ricorso per cassazione “non chiari”

di Francesco Rizzi
Scarica in PDF

Il ricorso per cassazione è un mezzo d’impugnazione “a critica vincolata”, in quanto le censure esperibili possono rientrare solamente nelle “tassative” ipotesi previste dall’articolo 360, comma 1, c.p.c..

In particolare, i motivi di impugnazione, specificatamente elencati ai numeri da 1 a 5 del predetto comma 1, sono i seguenti:

  • motivi attinenti alla giurisdizione;
  • violazione delle norme sulla competenza (quando non è prescritto il regolamento di competenza che però non trova applicazione in ambito tributario);
  • violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • nullità della sentenza o del procedimento;
  • omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

I suddetti motivi devono inoltre essere prospettati dal ricorrente rispettando la cosiddetta “regola della chiarezza” secondo cui, a pena d’inammissibilità:

  • nella formulazione dei motivi non devono esserci sovrapposizioni o addirittura mescolanze di mezzi di impugnazione eterogenei;
  • le censure non devono essere formulate come una mera elencazione di tutte le norme asseritamente violate, prospettando una pluralità di questioni, ma ogni motivo deve riguardare una sola delle ipotesi previste ai superiori numeri da 1 a 5 del predetto articolo 360, comma 1, c.p.c..

Nello specifico, detta regola trovava inizialmente un sostegno normativo nell’abrogato articolo 366 bis c.p.c. secondo cui “nei casi previsti dall’articolo 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito in diritto. Nel caso previsto dall’articolo 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

Nonostante l’abrogazione dell’articolo 366 bis c.p.c. ad opera dell’articolo 47, comma 1, lett. d), L. 69/2009, i giudici di vertice hanno continuato a ritenere tale regola della chiarezza come immanente nel nostro ordinamento poiché:

  • esprime un principio generale del diritto processuale” (cfr. Cassazione, sentenza n. 9570/2017);
  • è “desumibile dall’obiettivo del sistema di attribuire rilevanza allo scopo del processo costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito” (cfr. Cassazione, sentenza n. 18021/2016);
  • ritenere ammissibili i motivi formulati in violazione della regola della chiarezza “significherebbe affidare alla corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure”, compito che evidentemente non le è proprio poiché le è “del tutto precluso dalla legge” (cfr. Cassazione, sentenza n. 18021/2016).

Finora la Suprema Corte ha quindi sempre confermato l’orientamento in base al quale devono ritenersi inammissibili i motivi di ricorso per cassazione che non rispettano la “regola della chiarezza”.

Ciò è quanto emerge anche dalla recente sentenza n. 20288 del 31.07.2018, ove i giudici di vertice hanno dichiarato inammissibile il motivo in cui il contribuente lamentava congiuntamente:

  • la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., scaturente dall’asserita inosservanza dell’articolo 42 D.P.R. 600/73 e dalla conseguente nullità dell’avviso di accertamento per mancanza dei presupposti di fatto e di diritto;
  • la nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’articolo 360, n. 4, c.p.c. per violazione di legge derivante dalla mancata considerazione della prova fornita dal contribuente in corso di accertamento, e pertanto dal mancato rispetto del principio della parità delle armi in relazione a quello di difesa, con inevitabile violazione degli articoli 3 e 24 Cost..

Per la Cassazione, al contrario di quanto fatto dal ricorrente, la prospettazione dei motivi di ricorso avrebbe dovuto essere omogenea e chiara, nel senso che ciascun motivo avrebbe dovuto riferirsi solamente a una delle ipotesi contemplate dal succitato articolo 360, non potendo il ricorrente formulare doglianze relative a più ipotesi congiuntamente o addirittura inerenti profili di merito e non di legittimità.

Secondo la Corte, infatti, “è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, sussumendole, indifferentemente, quale vizio di norme di diritto ovvero quale error in procedendo (che a differenza dell’error in iudicando legittima l’accesso diretto agli atti da parte del giudice di legittimità); in tal modo da un lato viene negata la regola della chiarezza del motivo di ricorso per cassazione e dall’altro viene, inammissibilmente richiesto alla Corte di dare essa stessa forma e contenuto giuridici al ricorso, enucleando dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure”.

Il processo tributario telematico: aspetti giuridici e problematiche operative