5 Ottobre 2018

Cessione dello studio professionale e valore dell’avviamento

di Massimiliano Tasini
Scarica in PDF

È vivace ed interessante la questione relativa ai modelli organizzativi di cui gli studi professionali si dotano per l’esercizio delle proprie attività.

C’è chi, puntando sulla forte specializzazione, mantiene dimensioni modeste, ritenendo che bassi costi fissi aiutino a meglio affrontare le instabilità del mercato; e c’è chi, invece, punta sulla aggregazione, sia individuando un’unica attività e sfruttando le economie di scala che la dimensione consente, sia, e questa è l’ipotesi prevalente, affiancando professionalità tra loro diverse, confidando che il cliente veda nello studio la soluzione a tutti i problemi che quotidianamente incontra nella propria attività imprenditoriale.

In un quadro così composito, anche i “veicoli” utilizzati sono assai eterogenei: troviamo, ad esempio, professionisti individuali ed associati, Società tra Professionisti – anche multidisciplinari , centri elaborazione dati costituiti sotto diverse forme.

Alle già di per sè articolate tecnicalità imposte da questi modelli sul piano del diritto societario, si aggiungono, ancora una volta, quelle tributarie, e su questo fronte, specialmente nelle operazioni di riorganizzazione, si registra ancora una volta una notevole complessità, dovuta sia alla frammentazione della disciplina, sia alla relativa novità delle questioni, sia infine alla circostanza che spesso manca una solida giurisprudenza su cui appoggiarsi.

Tra le questioni che assumono maggior rilievo, spicca quella relativa alla possibilità che dalla cessione dello studio professionale emerga un valore di avviamento, sulla quale, viceversa, si registrano orientamenti oramai consolidati, sebbene non molto noti.

Ricordiamo preliminarmente che, in materia di imposte dirette, l’articolo 54, comma 1 quater, Tuir stabisce che “concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”.

E’ evidente che tra gli “elementi immateriali” figura senza alcun dubbio anche l’avviamento; di talché v’è da chiedersi se e quando possa parlarsi di avviamento nella cessione di uno studio professionale.

Nella sentenza n. 10178/2017 la Corte di Cassazione ha ribadito, in costanza con la pregressa seppur datata giurisprudenza di legittimità, che anche gli studi professionali in genere possono essere organizzati sotto forma di azienda tutte le volte in cui al profilo personale dell’attività svolta si affianchino un’organizzazione di mezzi e strutture, un numero di titolari e dipendenti, un’ampiezza dei locali adibiti all’attività, tali che il fattore organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrasti l’attività professionale del titolare, o quantomeno si ponga, rispetto ad essa, come entità giuridica dotata di una propria autonomia strutturale e funzionale che, seppur non separata dall’attività del titolare, assume una rilevanza economica tale da essere suscettibile di una propria valutazione, divenendo, per sè stessa, oggetto di possibile contrattazione (così Cassazione, n. 11896/2002).

Sulla base di questa premessa, deve ritenersi che il trasferimento di azienda può riguardare anche gli studi professionali, tutte le volte in cui l’organizzazione (nel senso suesposto) e l’entità dei mezzi impiegati “sovrastino l’attività del titolare” (Cassazione, n. 14641/2006), con i conseguenti effetti sull’applicazione dell’articolo 51 TUR.

Sulla vicenda è tornata la Cassazione con la pronuncia n. 2860/2010, osservando che pur essendo vero che il professionista non è un imprenditore e che lo studio professionale non è di per sé un’azienda, e pur tenendo conto che non è possibile il “trasferimento” in senso tecnico della clientela (Cass. 5848/1979), è comunque configurabile la cessione dello studio con il relativo valore di avviamento.

In particolare, i Giudici affermano che i fattori organizzativi potrebbero prevalere sull’attività professionale o, quantomeno, porsi come entità autonoma e distinta; ma, in ogni caso, la cedibilità dello Studio prescinde dal requisito della detta prevalenza. Il trasferimento della clientela avviene in modo indiretto, assumendo il cedente obblighi di fare, consistenti nello svolgimento di una attività promozionale verso il cedente, e di non fare, consistenti nel divieto di concorrenza del cedente nello stesso luogo in cui egli esercitava l’attività.

Alla luce di questi principi, non può invocarsi la nullità del contratto che contempli la cessione dello studio professionale laddove ricorrano i requisiti sopra indicati; nè in tal caso potrà sostenersi l’assenza di un avviamento, con i conseguenti effetti sugli accertamenti emessi dagli Uffici finanziari.

Pertanto, deve ritenersi oramai superata quella giurisprudenza di merito che, come nel caso di CTP Pisa Sez. V, 02.12.2000, aveva stabilito il principio di diritto secondo cui non è quantificabile il valore d’avviamento di uno studio medico quando questo viene ceduto, sostenendo la pronuncia che, nello svolgimento di un’attività professionale,  l’elemento prevalente e determinante è l’intuitus personae e le fortune del professionista acquirente, contrariamente a quanto avviene nel caso di cessione di un esercizio commerciale vero e proprio, sono legate esclusivamente alle qualità professionali del predetto e non a quelle del professionista cedente.

Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso:

 

Il reddito professionale