La successione mortis causa
di Sergio PellegrinoNel momento in cui un soggetto decede, si apre la sua successione nel luogo in cui vi è stato l’ultimo domicilio, che determina così la competenza del tribunale e degli uffici chiamati a gestire gli adempimenti correlati.
La morte del de cuius rappresenta il momento al quale vengono correlati gli effetti della trasmissione dei diritti ereditari e dal quale decorrono i termini per l’esercizio di determinate azioni, come, ad esempio, l’azione di riduzione.
L’intero patrimonio del defunto diviene oggetto della successione, non soltanto quindi i suoi rapporti patrimoniali trasmissibili attivi, ma anche quelli passivi: per questo viene data la possibilità all’erede di rinunciare all’eredità o di accettarla con beneficio d’inventario.
Non si possono invece trasmettere agli eredi quei diritti patrimoniali riconducibili al de cuius che si estinguono per effetto della sua morte, come nel caso del diritto di usufrutto su un immobile.
Un soggetto può disporre della propria successione soltanto attraverso il testamento: il nostro ordinamento, infatti, vieta, attraverso il disposto dell’articolo 458 cod. civ., qualsiasi tipo di patto successorio, ossia qualsiasi negozio che attribuisca o neghi diritti su una successione non ancora aperta.
I patti successori possono essere fondamentalmente di tre tipi: istitutivi, dispositivi e rinunciativi.
Si definisce istitutivo quel patto successorio con il quale un soggetto dispone “anticipatamente” della propria successione, trasferendo il proprio patrimonio o una parte di esso con effetto al momento della morte ovvero obbligandosi a fare disposizioni testamentarie a favore di determinati soggetti.
Il patto successorio istitutivo è illegittimo perché si pone in contrasto con la libertà testamentaria e fa nascere dei diritti successori in capo a determinati soggetti prima della morte del de cuius.
Esempio di patto successorio istitutivo è la donazione a causa di morte, con la quale il donante non determina l’attribuzione immediata del diritto a favore del donatario, ma gli garantisce il trasferimento del bene nel momento in cui sarà deceduto.
Il patto successorio si definisce invece dispositivo quando si dispone di diritti che potranno spettare ad un soggetto su una successione non ancora aperta, spesso a tacitazione di legittima.
Si parla di patto successorio rinunciativo quando il soggetto rinuncia a diritti che gli potranno spettare su una successione non ancora aperta.
Unica deroga prevista dal nostro ordinamento al divieto di patti successori, e introdotta dal legislatore con la L. 55/2006, è rappresentata dal patto di famiglia: il legislatore è intervenuto sull’articolo 458 cod. civ. che li vieta espressamente, introducendo un inciso iniziale che fa salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e ss. cod. civ..
Il patto di famiglia rappresenta una deroga al divieto di patti successori proprio per consentire all’imprenditore di pianificare adeguatamente la trasmissione dell’azienda di famiglia al discendente o ai discendenti che ha individuato come maggiormente adatti in questo senso.
Quando il soggetto deceduto ha fatto testamento e con esso ha disposto integralmente del proprio patrimonio, la successione si definisce testamentaria.
L’ordinamento però, con la cosiddetta successione necessaria, pone dei limiti all’autonomia del singolo, che quindi non può disporre “liberamente” del proprio patrimonio: la legge riserva infatti ai familiari più prossimi del de cuius – vale a dire coniuge, figli e ascendenti – una significativa parte del patrimonio, e ciò a prescindere dalla sua volontà.
La successione necessaria rappresenta dunque una tutela per i legittimari, ai quali la legge riconosce appositi rimedi giuridici qualora si vedano negare la propria quota di legittima dalle scelte fatte dal defunto.
Qualora, invece, il de cuius non abbia fatto testamento, ma anche quando, pur avendo validamente testato, abbia disposto soltanto di parte del proprio patrimonio, la successione si definisce legittima.