10 Novembre 2018

L’irrilevanza del transfer price ai fini penali

di Marco Bargagli
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Come noto, la corretta determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo è un annoso problema che riguarda le imprese multinazionali che operano con l’estero, scambiando beni e/o servizi con imprese del gruppo.

Le disposizioni fiscali in subiecta materia sono contenute nell’articolo 110, comma 7, Tuir, a mente del quale “I componenti del reddito derivanti da operazioni  con  società non  residenti  nel  territorio  dello  Stato,  che  direttamente   o indirettamente controllano l’impresa,  ne  sono  controllate  o  sono controllate dalla  stessa  società  che  controlla  l’impresa,  sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti  in  condizioni  di libera concorrenza e in circostanze  comparabili,  se  ne  deriva  un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le  modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche  internazionali,   le   linee   guida   per l’applicazione del presente comma”.

Di conseguenza, nel corso di una verifica fiscale l’Amministrazione finanziaria potrà applicare la normativa tributaria sopra richiamata e, contestualmente, anche in applicazione delle direttive OCSE diramate con le linee guida sui prezzi di trasferimento (c.d. “Transfer Pricing Guidelines”), operare anche rettifiche in aumento del reddito.

Ciò posto, occorre valutare attentamente la potenziale rilevanza penale delle suddette rettifiche fiscali proposte dall’ufficio, anche alla luce delle novità introdotte – con decorrenza 22 ottobre 2015 – da parte del D.Lgs. 158/2015 che ha riformulato il sistema sanzionatorio amministrativo e penale – tributario.

Attualmente, il novellato articolo 4 D.Lgs. 74/2000 prevede:

  • una specifica sanzione nei confronti di “chiunque” ossia qualsiasi soggetto che, al fine di evadere  le  imposte  sui redditi o sul valore aggiunto indicano, in una delle dichiarazioni  annuali relative a dette imposte, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna  delle  singole imposte ad euro centocinquantamila; l’ammontare   complessivo   degli elementi    attivi    sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare  complessivo  degli  elementi attivi indicati in dichiarazione o,  comunque, è  superiore  ad  euro  tre milioni;
  • l’irrilevanza penale delle c.d. “valutazioni estimative”: in merito, il legislatore ha previsto che non si tiene  conto della non  corretta  classificazionedella  valutazione  di elementi attivi o passivi oggettivamente  esistenti,  rispetto  ai  quali  i criteri concretamente applicati sono stati comunque  indicati  nel  bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali,  della  violazione dei criteri  di  determinazione  dell’esercizio  di  competenza,  della  non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

Circa l’irrilevanza penale del transfer price è recentemente intervenuta la CTR Lombardia, con la sentenza 3674/18/2018 del 04.09.2018.

Secondo il giudice di primo grado era decaduto il potere impositivo da parte dell’Agenzia delle entrate non potendo operare, ai fini penali, il raddoppio dei termini per la implicita abrogazione del regime transitorio di cui al D.Lgs. 128/2015, operata dalla L. 208/2015.

Inoltre, ai fini tributari, non veniva condivisa la riqualificazione di una società italiana da “agente” a “distributore” di un’altra società del Gruppo di diritto francese.

Inoltre, sempre a parere del giudice di prime cure, la concreta individuazione delle funzioni svolte e dei rischi assunti dalla società ricorrente imponevano la verifica del rispetto dei principi posti dalla normativa del c.d. transfer pricing; “tale verifica, eseguita dalla Agenzia applicando il metodo del margine netto della transazione, portava a conclusioni inattendibili soprattutto per la scelta inappropriata dei comparables ed il rilievo andava, perciò, annullato”.

In merito, i giudici regionali hanno condiviso la pronuncia di decadenza dal potere impositivo, non tanto per l’inapplicabilità del raddoppio dei termini, quanto per la inesistenza di alcun fatto di reato.

Il giudice del gravame ha infatti ritenuto che l’asserita pretesa da parte dell’Agenzia delle entrate, di vedere raddoppiati i termini dell’accertamento, si fondasse “sulla strumentale denuncia di dichiarazione infedele per il mero ritenuto scostamento dei redditi dichiarati rispetto a quelli presuntivamente accertati in applicazione di metodo non certo e codificato, tipicamente valutativo e per giunta illegittimamente invocato”.

In definitiva, gli avvisi di accertamento sono stati emessi ritenendo violata la nuova versione dell’articolo 4 D.Lgs. 74/2000, a tenore della quale sono penalmente irrilevanti fatti basati su valutazioni giuridico -tributarie.

A parere della Corte, “la irrilevanza penale del fatto doveva apparire ictu oculi atteso che l’analisi di transfer pricing che avrebbe accertato lo scostamento oltre le soglie è fondata per definizione su valutazione discrezionale”.

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