15 Novembre 2018

Gli errori sulla competenza economica: la disciplina sanzionatoria

di Cristoforo Florio
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Il principio della “competenza economica” costituisce uno dei postulati generali che devono essere rispettati nella predisposizione del bilancio, indipendentemente dal fatto che si tratti di bilancio ordinario (articolo 2423 cod. civ.), abbreviato (articolo 2435-bis cod. civ.) o delle c.d. “micro-imprese” (articolo 2435-ter cod. civ.). La sua violazione è suscettibile di generare, oltre che problematiche di matrice civilistica, un’irregolarità nella dichiarazione annuale dei redditi, con aspetti sanzionatori di natura tributaria che non sempre sono di entità trascurabile e che saranno pertanto oggetto di analisi nel prosieguo.

Sul piano civilistico, l’articolo 2423-bis, comma 1, n. 3, cod. civ. stabilisce che, nella redazione del bilancio, “(…) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento (…)”. Inoltre, la richiamata norma prevede che “(…) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo (…)” (comma 1, n. 4).

Sul punto, l’Oic 11 ha chiarito che l’effetto delle operazioni e degli altri eventi deve essere rilevato contabilmente ed attribuito all’esercizio al quale tali operazioni ed eventi si riferiscono e non a quello in cui si concretizzano i relativi incassi e pagamenti. Inoltre, il predetto principio contabile articola il tema della “competenza economica”, distinguendo i profili relativi ai ricavi da quelli relativi ai costi.

I primi (ricavi) sono di competenza dell’esercizio quando – come regola generale – si verificano le seguenti due condizioni:

  1. il processo produttivo del bene o servizio è stato completato;
  2. lo scambio è già avvenuto, con un passaggio sostanziale e non solo formale del titolo di proprietà.

I secondi (costi) devono essere correlati con i ricavi dell’esercizio, al fine di contrapporre ai ricavi dell’esercizio i relativi costi (sia certi che presunti).

La richiamata correlazione si realizza:

  1. per associazione di causa ad effetto tra costi e ricavi (si pensi, ad es., ad una provvigione attiva a fronte della quale occorre corrispondere la correlata provvigione passiva);
  2. per ripartizione dell’utilità o funzionalità pluriennale su base razionale e sistematica (si pensi, ad es., agli ammortamenti);
  3. per imputazione diretta di costi al conto economico dell’esercizio o perché associati al tempo o perché sia venuta meno l’utilità o la funzionalità del costo (si pensi al sostenimento di spese di cancelleria, non aventi utilità pluriennale, piuttosto che alle spese di manutenzione straordinaria su beni condotti in locazione, capitalizzate in precedenti esercizi ma da stornare interamente nel conto economico dell’esercizio in cui si è verificata la risoluzione anticipata del contratto di locazione sottostante).

Il principio della “competenza economica” è noto anche al legislatore tributario; l’articolo 109, comma 1, Tuir stabilisce, infatti, che “(…) i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi (…) concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza (…)”, fatta eccezione per specifiche componenti reddituali per le quali viene prevista un’imputazione a periodo sulla base di criteri diversi previsti da parte di singole norme del Tuir.

Dal momento che, in base all’articolo 83 Tuir, il reddito fiscale è determinato partendo dall’utile o dalla perdita risultante dal conto economico (cui vanno apportate le variazioni fiscali previste dalle norme del TUIR stesso), l’imputazione a periodo di un componente positivo o negativo di reddito nel bilancio impatterà direttamente sul reddito fiscale; pertanto, una violazione del principio di competenza economica, determinerà inevitabilmente un’infedeltà dichiarativa. Si pensi, ad esempio, all’imputazione per errore di un ricavo di competenza dell’esercizio 2018 nel successivo esercizio 2019 (caso “A”); in tale ipotesi e a parità di altre condizioni, il reddito fiscale 2018 sarà di importo inferiore al reddito fiscale 2019. Oppure si pensi ancora all’imputazione nell’esercizio 2019 di un costo che era di competenza del 2018 (caso “B”); in tale caso e sempre ragionando a parità di altre condizioni, il reddito fiscale 2018 sarà di importo superiore al reddito fiscale 2019.

Nel caso A va evidenziato che, in base a quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 471/1997, la dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2018 sarà passibile, successivamente al decorso dei 90 giorni dalla scadenza del termine della sua presentazione, della sanzione per infedele dichiarazione compresa tra il 90% e il 180% della maggiore imposta che sarebbe stata dovuta a seguito della corretta imputazione per competenza del ricavo.

Nel caso B, invece, sarà passibile della medesima sanzione la dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2019, a fronte della maggiore imposta che sarebbe stata dovuta a seguito della corretta imputazione per competenza del costo. Il tutto, naturalmente, fermo restando il diritto del contribuente ad avvalersi del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 D.Lgs. 472/1997 nonché a presentare le dichiarazioni integrative a favore per le annualità 2019 (caso A) e 2018 (caso B).

Il successivo comma 4 dispone, tuttavia, che la predetta sanzione è ridotta di un terzo (quindi diviene compresa tra il 60% e il 120%) quando la maggiore imposta accertata sia complessivamente inferiore al 3% dell’imposta (la soglia percentuale viene individuata come rapporto tra imposta accertata e imposta dichiarata) e comunque complessivamente inferiore a euro 30.000. Inoltre, la riduzione di un terzo della sanzione si applica anche quando l’infedeltà dichiarativa scaturisce da un errore sull’imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito, sempre che il componente positivo abbia già concorso alla determinazione del reddito nell’annualità in cui interviene l’attività di accertamento o in una precedente (per i componenti negativi, invece, non ci sono limitazioni, nel senso che basterà solo verificare che il medesimo componente non sia stato dedotto più volte in esercizi diversi). Sul punto l’Agenzia delle Entrate, con risoluzione 131/E/2017, ha chiarito che “(…) le riduzioni in esame possono essere applicate solo in sede di accertamento, con la conseguenza che il contribuente non può tenerne autonomamente conto per determinare la sanzione in caso di ravvedimento operoso (…)”.

Il comma 4 chiude stabilendo, infine, che “(…) se non vi è alcun danno per l’Erario, la sanzione è pari a euro 250 (…)”. Sul concetto di “danno per l’Erario” la disposizione, però, non fornisce dei criteri identificativi dello stesso; la relazione illustrativa al D.Lgs. 158/2015 ha avuto modo di precisare che “(…) si tratta esclusivamente delle ipotesi in cui l’anticipazione o la posticipazione dell’elemento reddituale non abbia prodotto alcun vantaggio nei confronti del contribuente (…)”, sembrando tuttavia dare rilievo più al vantaggio conseguito dal contribuente che non alla verifica della sussistenza del “danno erariale”.

Sul punto si segnala la interessante e recente sentenza della CTP Bergamo (sentenza n. 334 del 19.06.2017) con la quale i giudici si sono pronunciati sui costi imputati in un esercizio successivo a quello di competenza; al riguardo la Commissione ha chiarito che, ai fini del regime sanzionatorio in esame, “(…) il legislatore ha inteso promuovere una visione del rapporto tributario di tipo diacronico, obbligando ad estendere la disamina ad esercizi diversi da quello cui si riferisce l’accertamento (…)”; pertanto, non sussisterebbe “danno erariale” quando, ad esempio, un costo sia imputato in un esercizio successivo a quello di competenza, in quanto se è vero che nell’esercizio X+1 il contribuente è tenuto a corrispondere una maggiore imposta (in conseguenza dell’errata imputazione del costo all’esercizio X+1) è anche vero che nell’esercizio X il contribuente stesso ha diritto a richiedere il rimborso della maggiore imposta indebitamente versata (in conseguenza della mancata imputazione dello stesso costo all’esercizio X), venendosi così a “compensare” integralmente la partita di debito/credito verso l’Erario.

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