Cori, bande, filodrammatiche e Terzo settore
di Guido MartinelliL’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir, che, come è noto, disciplina i rimborsi spese forfettari, le indennità di trasferta, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici, ai collaboratori tecnici di “cori, bande musicali e filodrammatiche” (oltre che agli sportivi dilettanti), non appare in alcun modo abrogato o modificato a seguito dell’entrata in vigore del codice del terzo settore (D. Lgs. 117/2017).
Questo non significa che l’applicazione della norma per chi decidesse di entrare nel RUNTS possa essere automatica. Vediamo il perché.
È presumibile che questi enti, iscrivendosi al Registro Unico del Terzo settore, si collocheranno nel settore delle associazioni di promozione sociale; questo al fine di poter mantenere la decommercializzazione dei corrispettivi specifici versati dagli associati ai sensi di quanto previsto dall’articolo 85, comma 1, D.Lgs. 117/2017 e di utilizzare, per l’attività commerciale, il regime forfettario specifico previsto per tale tipo di enti dall’articolo 86 D.Lgs. 117/2017.
Assodato ciò, si pone il problema di individuare, tra gli enti iscritti come APS, quali abbiano le caratteristiche per poter essere qualificati come “cori, bande musicali e filodrammatiche”.
Ammesso che si superi questo primo scoglio (ricordo che non esiste alcuna norma che consenta, ad oggi, salvo qualche tentativo operato a livello di legislazione regionale, di poter delimitare i requisiti necessari per potersi classificare come associazioni di promozione sociale) ci si pone il problema del “come” qualificare le attività dei soggetti percettori di tali erogazioni all’interno della disciplina del codice.
Ove li volessimo inquadrare come “volontari” scatterebbe, però, la preclusione di cui all’articolo 17, comma 3, D.Lgs. 117/2017 che prevede che l’attività del volontario non possa essere retribuita in alcun modo ed espressamente recita: “Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfettario”.
Nel caso in cui li si voglia, invece, valutare come “lavoratori” si pone il problema dell’articolo 16 D.Lgs. 117/2017 che prevede che nei loro confronti si debbano applicare condizioni “normative” non inferiori a quelle previste dai contratti collettivi di lavoro. E qui si potrebbe porre il problema se tale forma di compensi, priva di copertura previdenziale e assicurativa, possa ritenersi compatibile con tale limite.
Ma l’analisi deve proseguire.
L’articolo 36 D.Lgs. 117/2017prevede che le associazioni di promozione sociale: “possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura…”. Questo riferimento a prestazioni di altra natura diverse da quelle di lavoro autonomo o subordinato potrebbe, in linea meramente teorica, far ricomprendere tra le prestazioni economiche compatibili con lo status di associazione di promozione sociale anche quelle in esame di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.
Ma se così fosse si pone il problema successivo. Ossia l’utilizzo di queste prestazioni retribuite è consentito “solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità”.
È chiaro che diventa molto meno facile dimostrare, ad esempio, per i collaboratori tecnici, che il loro ruolo sia indispensabile ai fini del raggiungimento delle finalità di interesse generale in esame, proprio perché debbono svolgere una prestazione di “natura non professionale”.
Ma, in ogni caso, il loro numero non potrà “essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati”.
Qui si pongono tre problemi a cui la norma non offre possibilità di risposta.
La prima è quando questa proporzione dovrà essere determinata. Il principio della porta aperta, tipico delle associazioni, rende estremamente variabile il numero degli associati. Ecco allora che sarebbe necessario determinare il momento in cui tale percentuale dovrà essere determinata.
Ma, nel caso in cui avessimo collaboratori “retribuiti” in eccesso, come rimediare? L’esercizio trascorso in difformità dal disposto di cui all’articolo 36 D.Lgs. 117/2017 potrà in qualche modo e per qualche ragione essere invalidato?
Ciò premesso, per quello successivo l’associazione potrebbe esimersi dall’utilizzare questa forma di rimborsi.
Ma nel caso in cui, invece, che di collaboratori ex articolo 67 tuir, ci fossimo trovati di fronte a lavoratori subordinati e dovendo rientrare nella percentuale dell’articolo 36 D.Lgs. 117/2017, come fare? Appare chiaro che questa non potrebbe mai essere “giusta causa” di risoluzione del rapporto.
Ma, banalmente, andrebbe chiarito se in caso di necessità di arrotondamenti questi debbano avvenire per eccesso o per difetto.
Non vorrei che si ricadesse nell’italica abitudine che ogni ufficio territoriale del registro unico del terzo settore provveda poi, in questa materia, a fare di testa sua.