Nessun ripensamento per la “Branch exemption”
di Davide AlbonicoL’articolo 168-ter Tuir, introdotto dal D.Lgs. 147/2015 (c.d. Decreto Internazionalizzazione), prevede la possibilità, per le imprese residenti che detengono stabili organizzazioni all’estero, di optare per un regime di esenzione degli utili e delle perdite prodotti dalle stesse (regime di branch exemption).
Le modalità applicative del regime sono state adottate con successivi documenti di prassi (provvedimento 28.08.2017 n. 165138/2017 e risoluzione 4/E/2018).
In buona sostanza, aderendo al regime in parola, gli utili e le perdite delle branch vengono tassati o dedotte nel solo Stato dove la stessa è ubicata, eccezion fatta per i Paesi a c.d. fiscalità privilegiata.
In mancanza dell’opzione invece, essendo la stabile organizzazione sita all’estero un’articolazione della casa madre italiana, a quest’ultima vengono automaticamente e immediatamente attribuiti i redditi (o le perdite) della stessa branch. Con la conseguenza che la tassazione dei redditi della stabile estera avviene con le, solitamente, maggiori aliquote nazionali (anche se l’effetto è mitigato dalla concessione di un credito per le imposte pagate all’estero).
Come appare evidente, il regime della branch exemption potrebbe risolvere questo problema, consentendo ai soggetti c.d. multinazionali di poter scegliere se far confluire automaticamente in Italia utili e perdite conseguiti dalle proprie stabili organizzazioni estere o se invece differire, o annullare, tali effetti. Ove un’impresa residente abbia stabili organizzazioni che producono perdite costanti potrebbe non risultare conveniente aderire a tale regime, mentre nel caso opposto, ovvero in presenza di stabili organizzazioni che generano utili, soprattutto in paesi con un carico fiscale inferiore al nostro, sembra quasi scontato optare per la branch exemption.
L’opzione, che, si ricorda, è facoltativa e cessa a seguito della chiusura, anche per liquidazione o cessione, di tutte le branch, è valida solo in presenza di una stabile organizzazione estera dell’impresa italiana in base alla specifica convenzione contro le doppie imposizioni ovvero alla normativa interna (articolo 162 Tuir), e deve essere:
- totalitaria;
- immediata;
- irrevocabile.
Totalitaria, in quanto in presenza di più stabili organizzazioni estere, l’impresa residente in Italia non potrà optare per l’applicazione del regime di esenzione limitatamente ad alcune di esse e mantenere il regime ordinario per le altre (principio del c.d. “all in, all out”, per evitare arbitraggi fiscali).
Immediata, perché l’opzione deve essere esercitata al momento della costituzione della stabile organizzazione, in un’apposita sezione nel modello dichiarativo, con decorrenza dal periodo di imposta al quale la dichiarazione dei redditi si riferisce.
Con riguardo al carattere di irrevocabilità, la norma statuisce chiaramente che una volta esercitata l’opzione per la branch exemption, è preclusa la possibilità per l’impresa residente di tornare al regime ordinario.
Delineata una breve panoramica dell’istituto in parola, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Grandi Contribuenti, con il Principio di diritto n. 13 del 28 novembre 2018, è intervenuta proprio su quest’ultimo aspetto, chiarendo che la presentazione di una dichiarazione integrativa “a sfavore”, con perfezionamento dei versamenti dovuti, volta a ripristinare, con efficacia ex tunc, la modalità ordinaria di tassazione degli utili e delle perdite della branch estera fin dal momento della sua costituzione, non configura la correzione di un errore, ma integra di fatto la revoca di una volontà negoziale validamente manifestata in precedenza.
Sempre secondo l’amministrazione finanziaria, tale ipotesi, alla luce dell’attuale contesto normativo, giurisprudenziale e di prassi, pur neutralizzando qualsiasi effetto benefico eventualmente derivante dall’opzione, non è riconducibile al principio di emendabilità della dichiarazione.
Tale previsione è volta in particolare ad evitare un uso strumentale del regime, tale per cui la scelta liberamente esercitata dal contribuente non può essere modificata a seguito di un ripensamento a posteriori sulla base di criteri di convenienza maturati successivamente.
Ciò nemmeno mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa “a sfavore”, ai sensi dell’articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998, con integrazione dei versamenti dovuti, oltre a interessi e sanzioni.
A parere dell’Agenzia, la precisa scelta, esercitata nella dichiarazione dei redditi, di avvalersi del regime di esenzione è espressione di una manifestazione di volontà negoziale che può essere “rettificata” soltanto in presenza di dolo, violenza o errore (in tal senso già la risoluzione AdE 325/E/2002).
In particolare, come anche ribadito dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1117/2018 e n. 19410/2015 che richiama Cass. n. 1128/2009 e n. 7294/2012), l’errore, quale vizio della volontà, deve possedere i requisiti della rilevanza e dell’essenzialità e non deve vertere sui “motivi” della scelta, quale la diversa valutazione della convenienza fiscale, che hanno indotto il contribuente a porre in essere un determinato comportamento.