Fatture per operazioni inesistenti: i chiarimenti di Telefisco 2019
di Marco BargagliImportanti chiarimenti, anche sul tema delle fatturazioni inesistenti, sono stati forniti dalla Guardia di Finanza in occasione di Telefisco 2019.
Come noto, la frode fiscale costituisce un insidioso sistema evasivo che comporta l’applicazione di specifiche sanzioni ex articolo 2 D.Lgs. 74/2000.
In particolare, la normativa in rassegna punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi con lo scopo di erodere la base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e, simmetricamente, conseguire un credito Iva inesistente.
Lo schema fraudolento, nella sua classica struttura, si realizza mediante l’interposizione – tra l’acquirente e il cedente dei beni o dei servizi – di soggetti denominati “cartiere”, ovvero quelle società costituite ad hoc che non hanno dipendenti, che non hanno una reale struttura operativa, che non versano le imposte dovute, ma hanno il solo scopo di creare un credito Iva inesistente nei confronti dell’acquirente finale.
In merito, anche il Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (cfr. volume I – parte II – capitolo 1 “Il sistema penale tributario in materia di imposte dirette e Iva. Disposizioni sostanziali”, pag. 152 e ss.), analizza la “società cartiera”, definita come un soggetto economico meramente interposto che svolge un ruolo fondamentale nel sistema di frode basato sull’emissione e sull’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
La stessa, infatti, viene creata con l’obiettivo di consentire ad altri operatori economici di evadere le imposte, attraverso la giustificazione contabile delle cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate da ulteriori imprese, realmente operative, che vengono celate al Fisco.
A tal fine il citato documento di prassi illustra le peculiari caratteristiche delle società “cartiere”:
- formale rappresentanza attribuita a “prestanome” o “teste di legno”, soggetti in genere privi di esperienza manageriale e, nella maggioranza dei casi, nullatenenti o gravati da precedenti penali o di polizia;
- operatività limitata nel tempo;
- crescita esponenziale del volume d’affari;
- assenza di una sede effettiva presso l’indirizzo dichiarato ovvero l’inattività o la mancanza di strutture organizzative e mezzi aziendali;
- mancato assolvimento degli obblighi contabili, dichiarativi e di versamento.
Sotto il profilo sanzionatorio è molto importante distinguere le fatture per operazioni oggettivamente inesistenti rispetto alle fatture soggettivamente inesistenti emesse dalle società cartiere.
Anche in questo caso le indicazioni della Guardia di Finanza consentono di delineare l’ambito logico-giuridico di riferimento, tracciando le differenze sostanziali tra i due diversi meccanismi evasivi:
- fatture oggettivamente inesistenti: ci troviamo di fronte all’inesistenza in senso giuridico dell’operazione (simulazione relativa), ossia quando la divergenza tra la realtà e la sua rappresentazione attiene al contenuto negoziale dell’atto rappresentato (viene fatturata una determinata operazione, ma ne è stata effettuata un’altra), ovvero l’inesistenza in senso assoluto dell’operazione stessa (simulazione assoluta) considerato che non è stata realmente posta in essere alcuna operazione;
- fatture soggettivamente inesistenti: in questo caso esiste una differenza tra la rappresentazione documentale e la realtà attinente ad uno dei soggetti che intervengono nell’operazione. In buona sostanza la transazione economica è stata realmente effettuata, ma deve essere ricondotta a soggetti diversi, ossia coloro che si nascondo dietro un prestanome ovvero a soggetti che non agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Sullo specifico punto, la distinzione tra fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti assume fondamentale importanza tenuto conto che, qualora non venga provata la consapevolezza di prendere parte ad una frode da parte dell’acquirente, nella particolare ipotesi di fatture soggettivamente inesistenti, il costo dell’acquisto del bene o del servizio potrebbe addirittura essere riconosciuto deducibile dal reddito d’impresa.
In merito, come affermato dalla prassi, l’indeducibilità non trova infatti applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi (circolare AdE 32/E/2012).
Quindi i costi relativi all’acquisizione di beni o servizi che, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non siano stati utilizzati per il compimento di alcun reato, risultano deducibili dal reddito d’impresa, qualora ricorrano i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dall’articolo 109 Tuir (competenza, l’inerenza, la certezza e l’obiettiva determinabilità delle spese sostenute).
Tuttavia, in linea con il recente orientamento espresso in sede di legittimità (ex multis cfr. Corte di cassazione, sezione civile, ordinanze n. 3473/18 e n. 3474/18 del 13.02.2018; Corte di cassazione, sezione civile, ordinanza n. 17161/18 del 28.06.2018), il cessionario deve operare sul mercato con criteri di diligenza che normalmente contraddistinguono “l’operatore economico accorto” verificando, con tutti i mezzi a sua disposizione, se il cedente abbia o meno la natura di soggetto meramente interposto.
Quindi, l’acquirente in buona fede ha comunque l’onere di verificare che l’emittente della fattura sia realmente in grado di fornire quei determinati beni o servizi, sgombrando il campo da eventuali dubbi che facciano sospettare l’esistenza di irregolarità o, in casi estremi, di evasione fiscale.
Tali concetti, come accennato in premessa, sono stati confermati anche dalla Guardia di Finanza nell’ambito dei quesiti posti in occasione di Telefisco 2019.
Nella particolare ipotesi di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti, il Fisco potrà negare la detrazione Iva solo qualora venga provata, sotto il profilo oggettivo, la consapevolezza dell’acquirente di prendere parte ad una frode fiscale.
Simmetricamente, il cessionario dovrà provare di avere agito sulla base dei richiamati criteri di diligenza esigibili da parte di un operatore economico accorto.
In merito, la stessa Guardia di Finanza richiama l’orientamento espresso dalla suprema Corte di cassazione che, con la sentenza n. 24321 del 4.10.2018, ha sancito che, ai fini della ripartizione dell’onere della prova:
- in primo luogo incombe sull’Amministrazione finanziaria dimostrare che, a fronte dell’esibizione del titolo (rectius la fattura), difettano le condizioni oggettive e soggettive per la detrazione Iva;
- successivamente, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative commerciali in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente.
Giova ricordare che, ai fini probatori, non rilevano altri elementi quali, a titolo esemplificativo: la regolarità formale delle scritture; le evidenze contabili dei pagamenti; l’inesistenza di un dimostrato vantaggio (in quanto i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato).
In definitiva, l’acquirente potrà dimostrare la propria buona fede conservando traccia:
- della corrispondenza commerciale intercorsa con il cedente (es. e-mail, fax, ordini di acquisto);
- dei riscontri effettuati presso i registri conservati dalle Camere di Commercio, che confermino la regolare esistenza del fornitore;
- dell’identità degli interlocutori con cui sono state condotte le trattative commerciali, nonché la loro riconducibilità al soggetto cedente indicato nella fattura emessa, che nella normalità dei casi agiscono in qualità di dipendenti, amministratori, procuratori, addetti commerciali dell’impresa fornitrice.