11 Febbraio 2019

Nuova disciplina per le Cfc con il recepimento della Direttiva Atad

di Fabio Landuzzi
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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2018 del D.Lgs. 142/2018 è stata data attuazione alla Direttiva UE 2016/1164 (c.d. “Anti Tax Avoidance Directive” – in sigla “Atad”).

Fra le varie modifiche contenute nel provvedimento legislativo vi è anche la revisione integrale della disciplina in materia di “imprese estere controllate” (c.d. Cfc) mediante la sostituzione dell’attuale testo dell’articolo 167 Tuir con una nuova formulazione.

La nuova disciplina è entrata in vigore dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018; per cui, di norma, per i soggetti “solari” la nuova disciplina sulle Cfc si applica a partire dal 2019. Vediamone quindi i tratti principali.

La modifica di fondo che si trae dalla nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir è che scompare la distinzione fra il regime delle c.d. Cfc “black list” e quello più generale riferito alle c.d. Cfc “white list”. Secondo la nuova disciplina si configura ora un unico regime per le Cfc, indipendentemente dalla loro localizzazione, quando ricorrono congiuntamente due requisiti:

  1. l’impresa estera è assoggettata a tassazione “effettiva” inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta ove fosse stata residente in Italia; e
  2. oltre 1/3 dei proventi realizzati dall’impresa estera rientra nella categoria dei d. “passive income così come è definita in 7 punti contenuti nell’articolo 167, comma 4, Tuir.

Quanto al primo requisito (il livello di tassazione dell’impresa estera), la novità più rilevante è che ora torna a farsi riferimento alla tassazione “effettiva” e non più a quella “nominale”.

Quanto alla verifica della tassazione effettiva, si ritiene che questa dovrà essere compiuta avuto riguardo alla sola Ires; depone in questa direzione il testo della relazione illustrativa al D.Lgs. 142/2018 che, nel fare riferimento al confronto tra il tax rate estero e quello nazionale, riguardo a quest’ultimo precisa che il calcolo andrà compiuto rideterminando il reddito dell’impresa estera secondo le disposizioni fiscali italiane che sarebbero applicabili al reddito lordo risultante dal bilancio dell’impresa estera, e operando quindi un confrontoche riguarda, sul fronte della tassazione virtuale interna, l’imposta sul reddito delle società (Ires)”.

Con riferimento al secondo requisito (la prevalenza di proventi da “passive income”), come anticipato, all’articolo 167, comma 4, Tuir sono elencate le categorie che appartengono a tale definizione. In breve:

  1. interessi o redditi generati da attivi finanziari,
  2. canoni o redditi generati da proprietà intellettuali,
  3. dividendi e redditi generati dalla cessione di partecipazioni,
  4. redditi da leasing finanziari,
  5. redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie,
  6. proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo effettuate con soggetti appartenenti allo stesso gruppo,
  7. proventi derivanti da prestazioni di servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo effettuate a favore di soggetti appartenenti allo stesso gruppo.

Si può da subito osservare che la corretta identificazione, e soprattutto la delimitazione, di queste due ultime categorie di proventi rende auspicabile un intervento interpretativo circostanziato, per evitare l’insorgere di possibile contenzioso.

Desta tuttavia qualche perplessità il fatto che, con riferimento alle prestazioni di servizi (di cui al succitato n. 7), la norma richiama le indicazioni contenute nel D.M. 14.05.2018 con particolare riferimento ai “servizi infragruppo a basso valore aggiunto” (articolo 7).

Quanto alla disapplicazione del regime Cfc, la norma prevede che questa possa ricorrere laddove il contribuente dimostri – volendo, anche a mezzo interpello preventivo all’Agenzia delle Entrate – che l’impresa controllata estera svolge una “attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali”.

È chiaro che a questo riguardo – facendo riferimento al concetto di “attività economica effettiva” e non più di “attività industriale e commerciale” – si porrà il tema molto delicato della valutazione dell’adeguatezza della struttura organizzativa dell’impresa estera rispetto all’attività in concreto svolta, una questione come noto molto dibattuta, soprattutto per le società holding di partecipazione.

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La disciplina CFC e il rimpatrio degli utili esteri