Reddito da lavoro dipendente: accertamenti bancari legittimi
di Luigi FerrajoliL’Agenzia delle Entrate può utilizzare i dati risultanti dalle indagini finanziarie per l’accertamento fiscale senza che alcuna rilevanza assuma la qualifica soggettiva del contribuente quale lavoratore dipendente, lavoratore autonomo o imprenditore, in quanto la norma contenuta nella prima parte dell’articolo 32, comma 1, n. 2), D.P.R. 600/1973, secondo cui i dati e gli elementi acquisiti attraverso le indagini bancarie possono essere posti a base degli accertamenti e delle rettifiche, di cui agli articoli 38, 39, 40 e 41 D.P.R. 600/1973 ed agli articoli 54 e 55 D.P.R. 633/1972 per l’Iva (se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che essi non hanno rilevanza allo stesso fine), ha portata generale ed è, quindi, applicabile a tutte le categorie di contribuenti e per l’accertamento di qualunque categoria di reddito.
È questo il principio di diritto che la Corte di Cassazione ha ribadito con l’ordinanza n. 104 del 04.01.2019 richiamando la conforme giurisprudenza (Corte di Cassazione sent. n. 10480/2018 e sent. n. 15050/2014).
Le indagini bancarie consentono all’Amministrazione Finanziaria l’acquisizione di elementi idonei a supportare processi di rideterminazione della base imponibile sia di tipo analitico che di tipo induttivo.
In particolare, i dati e gli elementi rinvenuti in sede di accertamento bancario possono essere utilizzati ai fini della rettifica della base imponibile dichiarata dal contribuente se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione della base imponibile (reddito o Iva) o che non hanno rilevanza allo stesso fine.
In sostanza, relativamente alla generalità degli elementi acquisiti dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento bancario, si determina un’inversione dell’onere della prova, per effetto della quale è il contribuente a dovere dimostrare che gli elementi acquisiti non rilevano ai fini dell’accertamento, in quanto già considerati dal contribuente in sede di dichiarazione o in quanto non rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile.
In relazione all’area di applicazione degli effetti della presunzione relativa agli accreditamenti non giustificati è interessante osservare che l’articolo 32, comma 1, n. 2), D.P.R. 600/1973 prevede che i dati sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del decreto.
Tale disposizione, se interpretata a contrariis, potrebbe fondare un’argomentazione difensiva consistente nell’affermare che, poiché non sono menzionati i relativi articoli, sarebbe sostenibile che le presunzioni poste dalla medesima norma non potrebbero avere efficacia per le ipotesi di rettifica (e non di accertamento di ufficio, contemplato nell’articolo 41 che invece è richiamato) di redditi diversi da quelli di lavoro autonomo e di impresa (articolo 37), per il disconoscimento delle operazioni elusive (articolo 37-bis), per gli accertamenti parziali (articolo 41-bis), gli accertamenti integrativi (articolo 43), e l’accertamento dei redditi da fabbricati (articolo 41-ter).
Questa è l’argomentazione che, nel caso oggetto della decisione in commento, è stata sostenuta dalla parte ricorrente, la quale, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione n. 23852/2009, ha affermato che la norma dell’articolo 32 non consentirebbe all’Amministrazione Finanziaria di rettificare il reddito di lavoro dipendente.
La Suprema Corte, con l’ordinanza esaminata, ha escluso la fondatezza di tale tesi, sostenendo che la norma contenuta nell’articolo 32 ha una portata generale non limitata ad alcune categorie di contribuenti e di redditi e deve ritenersi ragionevolmente applicabile anche per soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi.
Sul punto è necessario precisare che l’ulteriore presunzione posta dalla seconda parte dell’articolo 32 D.P.R. 600/1973, secondo cui “sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori ad euro 1.000,00 giornalieri e, comunque, a euro 5.000,00 mensili”, è evidentemente limitata solo ai soggetti che producono “ricavi”, cioè ai soggetti svolgenti attività imprenditoriale che producono reddito d’impresa.
Si ricorda che tale norma prevedeva in origine il riferimento anche ai “compensi” per cui era stata ritenuta applicabile anche alla rettifica dei redditi di lavoro autonomo.
Tale estensione è stata dapprima ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale, che, con la sentenza n. 228/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, D.P.R. 600/1973 limitatamente alle parole “o compensi”, e successivamente, è stata legislativamente abrogata dall’articolo 7-quater, comma 1, lett. a) e b), D.L. 193/2016 che ha soppresso le parole “o compensi” e limitato l’efficacia quantitativa delle presunzioni inserendo le parole “per importi superiori a euro 1.000,00 giornalieri e, comunque, a euro 5.000,00 mensili”.