Brexit: disposizioni Iva e doganali in caso di no deal
di Clara PolletSimone DimitriTra poche settimane sarà il 29 marzo, termine entro il quale l’Ue e il Regno Unito devono trovare un accordo per mantenere e garantire accordi “preferenziali” reciproci.
Dal momento in cui si concretizzerà formalmente la cosiddetta Brexit, notificata dal Regno unito il 29 marzo 2017 (a norma dell’articolo 50 Trattato UE), tale Stato non farà più parte del territorio doganale e fiscale dell’Unione Europea.
La circolazione delle merci tra UK e l’Italia verrà, dunque, considerata commercio con un Paese terzo; pertanto, da quella data si dovrà stabilire lo status doganale delle merci che si movimentano (entrate, uscite, transiti) attraverso il territorio doganale e fiscale comunitario e del Regno Unito, oltre al trattamento adeguato in relazione all’Iva e alle accise, nonché quali disposizioni giuridiche trovino applicazione.
Dopo circa un anno e mezzo di lavori tra i negoziatori dell’Unione europea e quelli britannici, il 25 novembre 2018 il Consiglio europeo straordinario “articolo 50” ha dato il via libera all’accordo di recesso, approvando la Dichiarazione Politica sul quadro delle future relazioni: si tratta di un’intesa che consentirebbe di gestire il recesso britannico in modo ordinato e in termini chiari per cittadini e imprese, prevedendo, dopo l’uscita del 29 marzo 2019, anche un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020.
Tenuto conto dell’incertezza che ha caratterizzato il processo di ratifica dell’accordo, confermato dal voto negativo della Camera dei Comuni britannica del 15 gennaio 2019, qualora il Regno Unito (UK) persegua la posizione più rigida, ossia il no deal, dal 30 marzo 2019 tale Stato diventerà a tutti gli effetti territorio extra-comunitario.
In caso di recesso senza accordo, il trattamento fiscale di tutte le transazioni, comprese quelle in essere, sarà soggetto a cambiamenti dalla data del recesso.
Dal 30 marzo 2019 i movimenti delle merci che entrano nel territorio Iva dell’UE o sono inviate o trasportate dal territorio Iva dell’Unione verso il Regno Unito dovranno essere trattati, rispettivamente, come importazione o esportazione di merci a norma della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (Direttiva Iva). Ciò comporta che il cessionario nazionale dovrà assolvere l’Iva all’importazione (salvo presentazione della dichiarazione d’intento nei confronti della Dogana) e registrare la bolletta doganale di importazione. Allo stesso modo, il cedente nazionale che invia dei beni al proprio cessionario britannico, effettua un’esportazione non imponibile, ai sensi dell’articolo 8 D.P.R. 633/1972; l’importatore dovrà, pertanto, dotarsi di un codice EORI (Economic Operator Registration and Identification).
Le merci introdotte nel territorio doganale dell’Unione dal Regno Unito o in uscita da detto territorio per essere trasportate nel Regno Unito sono soggette a vigilanza doganale e possono subire controlli, a norma del Regolamento (UE) n. 952/2013, del 9 ottobre 2013, che ha istituito il codice doganale dell’Unione. Ciò comporta, fra l’altro, l’applicazione delle formalità doganali, la presentazione di dichiarazioni e l’eventualità che le autorità doganali esigano garanzie per le obbligazioni doganali potenziali o in essere.
Le merci introdotte nel territorio doganale dell’Unione dal Regno Unito saranno disciplinate dal Regolamento (CEE) 2658/1987 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune; ciò comporta l’applicazione dei pertinenti dazi doganali. Le autorizzazioni che conferiscono lo stato giuridico di operatore economico autorizzato e le altre autorizzazioni rilasciate a fini di semplificazione doganale dalle autorità doganali del Regno Unito non saranno più valide nel territorio doganale dell’Unione.
Per le esportazioni di merci verso i Paesi terzi con cui l’UE ha concluso un accordo di libero scambio, gli esportatori possono beneficiare di tariffe preferenziali a condizione che i prodotti abbiano abbastanza “contenuto UE” secondo i parametri delle norme di origine. Dopo la Brexit, l’apporto del Regno Unito al prodotto finito non potrà più essere considerato contenuto UE; ai fini del calcolo dell’origine preferenziale dell’UE delle merci, sarà necessario controllare la propria rete di approvvigionamento, considerando “non originario” l’apporto dei beni di provenienza britannica. Ciò incide sulla capacità degli esportatori unionali di effettuare il cumulo con merci originarie del Regno Unito e può incidere sull’applicabilità di tariffe preferenziali convenute dall’Unione con paesi terzi.
I movimenti delle merci che entrano nel territorio di accisa dell’Unione dal Regno Unito o sono inviate o trasportate dal territorio di accisa dell’Unione verso il Regno Unito sono trattati, rispettivamente, come importazioni o esportazioni di merci sottoposte ad accisa a norma della Direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise. Ciò comporta, fra l’altro, che il sistema d’informatizzazione dei movimenti e dei controlli dei prodotti soggetti ad accisa (EMCS) non sia più applicabile ai movimenti di merci in regime di sospensione dell’accisa dall’Unione verso il Regno Unito; tali movimenti sono, invece, trattati come esportazioni per le quali la vigilanza, ai fini dell’accisa, termina nel luogo di uscita dall’Unione (come da Linee guida sulle movimentazioni commerciali di prodotti sottoposti ad accisa da e verso il Regno Unito del 22 febbraio 2019).
Ricordiamo, infine, che l’Agenzia delle dogane italiana e l’Amministrazione finanziaria britannica (HMRC) forniscono aggiornamenti costanti sui propri siti istituzionali.