29 Marzo 2019

Quando la condizione doganale cede il passo a quella sostanziale

di Marco Peirolo
Scarica in PDF

L’esenzione prevista dalla normativa unionale per le cessioni all’esportazione non può essere subordinata alla condizione che i beni siano stati vincolati al regime doganale dell’esportazione se il cedente è in grado di dimostrare l’uscita effettiva dei beni dal territorio dell’Unione.

Con questa conclusione, raggiunta dalla Corte di giustizia nella sentenza resa nella causa C-275/18 del 28 marzo 2019 (Milan Vinš), è stata fornita l’interpretazione dell’articolo 146, par. 1, lett. a), Direttiva 2006/112/CE, che impone agli Stati membri di esentare da Iva “le cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o per suo conto, fuori della Comunità”.

Tale disposizione non fa espresso riferimento alla condizione del vincolo dei beni al regime doganale dell’esportazione, sicché è sorto il dubbio se il legislatore nazionale, per giustificarne l’applicazione, possa ricorrere alla previsione dell’articolo 131 della stessa Direttiva 2006/112/CE, secondo cui “le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 [al cui interno si colloca quella in esame] si applicano, salvo le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”.

La controversia all’origine della decisione si riferisce ad un contribuente domiciliato nella Repubblica ceca che ha spedito, per posta, alcuni beni al di fuori dell’Unione, senza essere in grado di dimostrare il vincolo al corrispondente regime doganale, richiesto dalla normativa interna proprio al fine di evitare fenomeni di evasione ed abuso.

La questione posta al vaglio della Corte è diretta a sapere se tale finalità sia conforme ai princìpi del diritto dell’Unione, in particolare a quello di proporzionalità, laddove la legislazione nazionale, come interpretata dalle Autorità fiscali, escluda l’esenzione anche quando il cedente sia in grado di dimostrare che i beni hanno effettivamente lasciato il territorio dell’Unione.

Il principio che emerge dalla pronuncia in rassegna è che le operazioni, comprese quelle di cessione all’esportazione, assumono rilevanza agli effetti dell’Iva in funzione delle caratteristiche oggettive che le contraddistinguono; con la conseguenza che, se le condizioni sostanziali previste dal paradigma normativo (articolo 146, par. 1, lett. a), Direttiva 2006/112/CE) sono soddisfatte, la detassazione accordata all’operazione non può essere negata in dipendenza di una condizione formale non rispettata.

In concreto, come già specificato dalla Corte in altri arresti, dai termini “spediti o trasportati”, contenuti nella disposizione di riferimento, si desume che “l’esportazione di un bene si perfeziona e l’esenzione della cessione all’esportazione diviene applicabile quando il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato al di fuori dell’Unione e il bene, in seguito a tale spedizione o trasporto, ha lasciato fisicamente il territorio dell’Unione” (causa C-307/16 del 28 febbraio 2018, Pieńkowski).

È sufficientemente chiaro che la condizione formale introdotta dal legislatore nazionale allo scopo di evitare fenomeni di evasione e abuso, vale a dire il vincolo dei beni al regime doganale dell’esportazione, non può pregiudicare l’esenzione se il requisito della movimentazione fisica dei beni, che rappresenta una condizione sostanziale dell’esenzione, risulta soddisfatta essendo il contribuente in possesso dei documenti rilasciati dall’ufficio postale a conferma dell’avvenuta spedizione.

La Corte rammenta che esistono due fattispecie che, in caso di inosservanza di un requisito formale, determinano l’esclusione dell’esenzione, ossia, partitamente, quando l’operatore ha partecipato intenzionalmente a un’evasione mettendo a repentaglio il sistema di funzionamento dell’Iva (ma non è questo il caso nel contesto sub judice) e quando la violazione del requisito formale ha l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti formali.

A quest’ultimo riguardo, come sopra evidenziato, dal mancato vincolo dei beni al pertinente regime doganale non consegue l’esito indicato, siccome l’operatore è in grado di dimostrare l’avvenuta esportazione materiale dei beni, ragion per cui – in definitiva – la pronuncia in commento conclude affermando che “l’articolo 146, paragrafo 1, lett. a), della direttiva Iva, letto in combinato disposto con l’articolo 131 della stessa, deve essere interpretato nel senso che osta a che una disposizione legislativa nazionale subordini l’esenzione dall’Iva prevista per beni destinati a essere esportati fuori dell’Unione alla condizione che tali beni siano stati vincolati al regime doganale dell’esportazione, in una situazione nella quale è dimostrato che le condizioni sostanziali dell’esenzione, tra cui in particolare quella che richiede l’uscita effettiva dal territorio dell’Unione dei beni interessati, sono soddisfatte”.

Le considerazioni svolte dai giudici europei hanno una portata che travalica il caso materiale, coinvolgendo – nella disciplina italiana – anche l’ambito applicativo della non imponibilità prevista dall’articolo 9 D.P.R. 633/1972 per i servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, definiti positivamente in funzione di una matrice di carattere doganale.

Il riferimento è ai servizi di trasporto, spedizione, intermediazione, ecc. di beni in esportazione e in importazione, rispetto ai quali è noto che la prassi amministrativa richiede, tassativamente, il vincolo al corrispondente regime doganale, in forza di un orientamento che andrebbe, quindi, rivisitato alla luce della sentenza in apicibus.

Un’altra situazione da risolvere una volta per tutte è quella relativa alla previsione dell’articolo 7-bis D.P.R. 633/1972, sul luogo della cessione per i beni mobili, dove la territorialità è collegata ad un parametro non solo fisico, come richiesto dal precetto unionale di riferimento, ma anche giuridico. Per cui, non basta – secondo la regola nazionale – che il bene si trovi in Italia al momento della cessione, essendo richiesto anche che il bene sia nazionale, unionale o vincolato al regime della temporanea importazione.

La sentenza Profitube (causa C-165/11 dell’8 novembre 2012) consente di superare tale incoerenza, ma sarebbe comunque necessario un chiarimento ufficiale per considerare definitivamente sorpassate anche le indicazioni di prassi confliggenti, come quelle contenute nella risoluzione 127/E/1998 e nella risoluzione 185/E/2001, che verosimilmente sopravviveranno finché l’articolo 7-bis, comma 1, D.P.R. 633/1972 non sarà modificato per allinearlo al diritto della UE.

I principi di revisione nazionali