4 Aprile 2019

Imu: i valori deliberati dal Comune sono autolimitanti

di Fabio Garrini
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Altro tassello sul tema dei valori che devono essere assunti quale base imponibile per le aree fabbricabili e, soprattutto, sul delicato aspetto della valenza da attribuire alle delibere comunali che fissano tali valori per zone omogenee.

Dopo l’ordinanza n. 4969 del 02.03.2018, commentata in un precedente intervento, pubblicato sul presente quotidiano telematico, nella quale la Cassazione aveva assunto una posizione a dir poco singolare, secondo la quale i valori deliberati dal Comune avrebbero potuto essere da questo disattesi in sede di accertamento, più di recente i giudici della Suprema Corte (con la sentenza n. 2620 del 30.01.2019) hanno invertito la rotta, tornando nel solco della più consolidata (e corretta) interpretazione, che attribuisce a tali valori effetto autolimitante.

 

L’effetto autolimitante

L’articolo 5, comma 5, D.Lgs. 504/1992 individua la base imponibile delle aree fabbricabili nel valore venale in comune commercio; per ridurre l’alea riguardante la valorizzazione dei terreni edificabili, i Comuni determinano periodicamente e per zone omogenee i valori delle aree fabbricabili, al fine di introdurre una limitazione del potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso.

L’articolo 59, comma 1, lett. g), D.Lgs. 446/1997, che conteneva tale previsione, è stato abrogato dal D.L. 16/2012, limitando il rinvio delle disposizioni Imu al solo articolo 52, riguardante la generale potestà regolamentare del Comune.

Va però segnalato che nelle “linee guida regolamentari” approvate dal Ministero si legge: Nulla vieta, peraltro, che la disposizione regolamentare di autolimitazione dei poteri di accertamento possa essere riproposta anche per l’Imu.”

Ciò sta a significare che:

  • se il Comune introduce tale effetto “autolimitante” (come era nel passato) il contribuente può adeguarsi al valore deliberato ricevendo il relativo effetto definitorio;
  • se il Comune nulla dice nel proprio regolamento, i valori deliberati sono solo indicativi e l’adeguamento a tali valori non offre nessun effetto benefico per il contribuente.

Come detto, la Cassazione, nell’ordinanza n. 4969 del 02.03.2018 negò l’effetto autolimitante, stabilendo che tali valori hanno esclusivamente un effetto presuntivo, e che, se vi sono altri elementi che comprovano un valore superiore di tale area, nel proprio accertamento il Comune ha diritto di superare i valori deliberati: “il perseguimento della finalità deflattiva del contenzioso non è ostacolato dal riferimento a valori di mercato agevolmente ed univocamente desumibili da “atti pubblici o privati” di cui il Comune […] abbia il possesso o la concreta conoscenza, trattandosi di elementi sufficientemente specifici ed in grado di contraddire quelli di segno diverso ricavati in via presuntiva dai rilevati valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche).

In altre parole, secondo tale pronuncia, ogni valore deliberato dal Comune per il contribuente costituirebbe nient’altro che un mero parametro di riferimento, senza alcun effetto concreto; conseguentemente, se così fosse, l’adeguamento a tali valori non sarebbe in alcun modo idoneo a limitare l’attività accertativa del Comune stesso.

Con il conseguente venir meno di ogni incentivo ad adeguarsi a tali valori.

Tale pronuncia, fortunatamente, risultava isolata e, recentemente, è stata sconfessata da una nuova presa di posizione; con la sentenza n. 2620 del 30.01.2019 la Cassazione torna nel solco della linea interpretativa secondo cui tali valori possono avere effetto autolimitante per il comune.

Nel caso esaminato il Comune aveva infatti deliberato dei valori per le annualità 2006 e 2007 (quindi annualità per le quali era pienamente vigente la lett. g) dell’articolo 59 D.Lgs. 446/1997, per cui non si ponevano dubbi sulla rilevanza di tale previsione) e successivamente aveva emesso accertamenti a carico di un contribuente contestando valori superiori a quelli deliberati, affermando che dalla valorizzazione per zone omogenee risultavano escluse “tutte le situazioni in cui la particolarità dell’intervento edilizio evidenziava una potenzialità edificatoria superiore”.

La giurisprudenza di merito aveva dato ragione al contribuente, il quale si era adeguato ai valori deliberati dal Comune; gli atti emessi dall’ente impositore erano pertanto stati annullati dalle Commissioni tributarie.

Sul punto la Cassazione si esprime respingendo il ricorso per Cassazione proposto dall’ente impositore, confermando l’impossibilità per l’ente stesso di superare i valori deliberati quando i contribuenti ad essi si siano allineati: i giudici di legittimità affermano che il regolamento comunale ha lo scopo di rendere trasparente l’attività amministrativa di verifica e il contribuente è titolare di una posizione giuridica direttamente tutelabile, costituita dalla autolimitata potestà accertatrice derivante dal regolamento con il quale sono state approvate le delibere.

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