Omessa dichiarazione e responsabilità del prestanome
di Luigi FerrajoliLa Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza n. 11757 del 05.03.2019, è tornata ad occuparsi del reato di omessa dichiarazione, fattispecie prevista e punita dall’articolo 5 D.Lgs. 74/2000, con particolare riferimento alla figura dell’amministratore di fatto di una società (il c.d. prestanome).
Nel caso di specie, un soggetto indagato, in concorso con altre persone, di omessa dichiarazione Iva per i periodi di imposta 2015 e 2016, con evasione superiore alla soglia di punibilità stabilita dalla norma in euro 50.000,00, aveva proposto ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che, chiamato a decidere a seguito di annullamento con rinvio di precedente provvedimento, aveva rigettato l’istanza avverso il decreto di sequestro preventivo del GIP relativo a beni mobili e immobili nella disponibilità del prevenuto, nella qualità di amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata nonché sui conti correnti intestati alla società stessa.
La Corte di Cassazione, con precedente sentenza, aveva già rigettato il ricorso presentato dal legale rappresentante della società, quale terzo interessato, che aveva assunto la carica dopo la commissione del reato, annullando invece l’ordinanza del Tribunale del riesame con riferimento alla posizione dell’amministratore di fatto. Ciò in quanto, pur in presenza della sussistenza del fumus sotto il profilo oggettivo del reato, la motivazione risultava carente in relazione alla valutazione del fumus commissi delicti dal punto di vista soggettivo, con particolare riferimento alla riferibilità al medesimo e presunto amministratore di fatto della condotta omissiva.
La Suprema Corte, adita nuovamente al fine di pronunciarsi sul ricorso presentato dal soggetto individuato quale amministratore di fatto, ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione “perché i motivi attengono in realtà a vizi della motivazione e non a violazioni di legge”.
In ogni caso, il Giudice di legittimità ha ritenuto opportuno comunque precisare che “anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio “solido” come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello di fumus al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi le valutazioni in tema di periculum in mora che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna e, quindi, di confisca”.
Ebbene, secondo la Corte di Cassazione il Tribunale del riesame, assodato il fumus del reato sotto il profilo oggettivo in quanto già riconosciuto dalla Corte di Cassazione nella menzionata sentenza di annullamento sopra richiamata, aveva illustrato, con argomentazioni logiche e coerenti, le ragioni per le quali il ricorrente era da considerarsi l’amministratore di fatto della società, fornendo dovizia di elementi indiziari quali le dichiarazioni dei testi che ne avevano affermato il ruolo effettivo assunto nell’ambito della società.
In particolare, l’indagato ricorrente:
a) decideva le scelte aziendali;
b) partecipava alle riunioni circa l’andamento societario e le strategie di vendita;
c) intratteneva rapporti con i clienti;
d) dava disposizioni ai dipendenti;
e) partecipava alla discussione e all’approvazione dei bilanci;
f) partecipava fattivamente alle discussioni relative alla presentazione delle dichiarazioni ai fini contabili e tributari.
Ciò posto, la Suprema Corte ha affermato come pacifica la responsabilità per il delitto di cui all’articolo 5 D.Lgs. 74/2000 anche dell’amministratore di fatto.
Il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o Iva è infatti configurabile sia nei confronti dell’amministratore di fatto, sia verso l’amministratore di diritto, il quale, come mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (articolo 40 c.p., comma 2 e articolo 2932 cod. civ.).
In tema di reati tributari, dunque, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione solo se privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società.