Strumenti di allerta: dubbi e criticità
di Massimo ConigliaroNicla CorvacchiolaUna delle novità più rilevanti contenute nel codice della crisi e dell’insolvenza è sicuramente l’istituto dell’allerta.
L’Unione europea negli anni più bui dell’economia è intervenuta emanando il Piano di azione Imprenditorialità 2020 e la raccomandazione 135/2014 con i quali ha evidenziato la necessità di un tempestivo intervento di risanamento, al fine di evitare l’insolvenza e proseguire l’attività d’impresa, invitando gli Stati membri a prendere provvedimenti in grado di far emergere tempestivamente la crisi e soprattutto di trovare aiuti, anche professionali, in particolar modo verso le piccole e medie imprese in difficoltà.
Il Legislatore italiano, con la Legge delega 155/2017 e con il decreto attuativo 14/2019 è intervenuto introducendo strumenti di allerta in grado di aiutare l’imprenditore, che si trovi in una fase che prelude alla crisi, ad integrare la propria organizzazione interna allo scopo di consentirgli di rilevare le difficoltà aziendali e di intervenire su di esse per la rimozione delle cause.
La norma di riferimento è l’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 14/2019, che impone agli organi di controllo interno (revisore, società di revisione, ecc.) di “verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e qual è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi”.
Sul punto, è possibile affermare che da sempre l’imprenditore ha l’obbligo, qualora si trovi in uno stato di difficoltà, di intervenire con sollecitudine, per affrontare con diligenza e risolvere la situazione economica e finanziaria in cui versa; la disposizione, quindi, se da un lato costituisce un’innovazione legislativa idonea all’anticipazione della crisi, dall’altro non è altro che il recepimento di uno strumento da più parti sollecitato al fine di salvaguardare la continuità dell’impresa ed i livelli occupazionali, nonché la tutela dei terzi.
È noto che il sistema economico italiano è fondato per lo più sulla piccola e media impresa (PMI) ed il capitalismo si è incentrato sulla figura di un singolo imprenditore o di più imprenditori molto spesso legati da vincoli di parentela, che rivestono i ruoli sia di azionista di riferimento che di manager, con prerogative decisionali di assoluta supremazia.
In tale contesto si riscontra spesso una confusione tra “l’azienda” e la “famiglia” e per l’imprenditore diventa difficile acquisire consapevolezza dello stato di crisi; sovente ritiene preferibile salvaguardare l’immagine dell’azienda (ed indirettamente la propria) al fine di evitare di perdere credibilità presso clienti, fornitori e soprattutto verso gli istituti di credito. In tal modo, purtroppo, l’intervento risulta spesso tardivo e la soluzione di non immediata percezione.
Il nuovo codice della crisi ha acquisito piena consapevolezza di tale diffusa situazione ed ha previsto misure premiali a favore dell’imprenditore che assuma tempestivamente l’iniziativa e acceda alla procedura di composizione.
L’articolo 14, comma 2, D.Lgs. 14/2019 indica il termine non superiore a 30 giorni “entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese”; in caso di mancata o inadeguata risposta ovvero “di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi”, sindaci e revisori informano senza indugio l’Ocri, con l’effetto di sottrarsi alla responsabilità solidale “per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni poste in essere dal predetto organo”.
Tuttavia, la procedura assistita di composizione della crisi potrebbe rivelarsi non particolarmente efficace vista la molteplicità di soggetti coinvolti e di organi chiamati ad attivarli. Inoltre la complessità degli strumenti potrebbe non allettare l’imprenditore, già restio ad accettare una situazione di crisi della propria impresa: si tratta infatti di affrontare fasi procedimentali complesse, talvolta logoranti, che potrebbero concludersi con il ricorso ad una delle procedure di crisi o di insolvenza.
In tale contesto, la durata delle procedure di allerta e di composizione della crisi potrebbe compromettere la salvaguardia dei complessi aziendali. Dal momento in cui i sindaci ed i revisori effettuano la segnalazione agli amministratori, potrebbe passare più di un anno prima che la società possa concretamente avviare una soluzione negoziale o la liquidazione giudiziale.
Tra la segnalazione agli amministratori e la segnalazione all’Ocri l’intervallo temporale può arrivare a tre mesi; occorre poi attendere la nomina del collegio degli esperti, la successiva audizione del debitore e il procedimento di composizione assistita della crisi. Vi è poi l’eventuale ulteriore termine assegnato al debitore per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
L’efficacia del rimedio appena descritto lascia molteplici dubbi negli addetti ai lavori e soprattutto all’Ocri, onerato del gravoso compito di percorrere insieme al debitore una fase stragiudiziale tortuosa, con un delicato confronto tra debitore e creditori che impone non comuni doti di lealtà e riservatezza.
Un elemento di significativa criticità è rappresentato dall’emersione tardiva della crisi che ha condotto spesso i terzi ad una ridotta disponibilità negoziale; essi infatti, in numerose circostanze, si sono trovati di fronte a situazioni di conclamata insolvenza e di definitiva compromissione degli equilibri economici, finanziari e patrimoniali, tali da non permettere una adeguata gestione della crisi da parte del debitore.
Un altro profilo che desta perplessità è rappresentato dalla scarsa qualità delle informazioni fornite e dall’incoerenza dei percorsi proposti rispetto alle concrete possibilità di adesione dei terzi coinvolti.
Non da ultimo è da evidenziare come la scelta dei professionisti di fiducia del debitore spesso non è stata vista di buon occhio dai terzi creditori (ed in particolare dagli istituti di credito) che hanno guardato con scetticismo le soluzioni proposte se non addirittura messo in dubbio l’indipendenza degli advisor.
Il Legislatore ha quindi ritenuto di anticipare i tempi e di introdurre con tempestività un confronto con i terzi creditori in modo da condurre il debitore ad una gestione adeguata della crisi finalizzata alla salvaguardia dell’azienda, attraverso l’introduzione degli strumenti di allerta e degli obblighi di segnalazione posti a carico di organismi interni (organi di controllo) e organismi esterni qualificati (Agenzia delle Entrate, Inps e Agenzia della riscossione).
A questo punto è da chiedersi se il termine di 18 mesi per l’entrata in vigore delle predette norme consenta un reale e consapevole recepimento delle nuove disposizioni, alquanto complesse e di non immediata metabolizzazione da parte degli addetti ai lavori.
Probabilmente sarebbe stato meglio introdurre sin da subito misure di allerta e di composizione della crisi più semplici, in modo da rendere il nuovo strumento normativo più vicino alle esigenze di salvaguardia degli imprenditori in stato di crisi e, di fatto, più appetibile.
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