17 Maggio 2019

Nulla la cartella priva del calcolo degli interessi

di Davide Albonico
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In caso di mancata indicazione delle modalità di calcolo degli interessi, ovvero dell’indicazione del capitale e del tasso di interesse applicato, la cartella può essere legittimamente impugnata.

Il contribuente difatti deve essere messo nelle condizioni di comprendere il contenuto, le motivazioni, le causali e le voci riportate nella cartella di pagamento, con la conseguenza che tale omissione integra un difetto di motivazione dal quale consegue l’annullamento limitatamente a tali importi, con effetti anche sulle relative sanzioni.

A queste conclusioni è giunta la CTR Abruzzo, che, con la sentenza n. 258 del 12.03.2019, ha ribadito un ormai prevalente filone giurisprudenziale relativo al contenuto obbligatorio che deve avere la cartella di pagamento, con particolare riferimento all’indicazione del calcolo degli interessi.

Ripercorrendo i fatti di causa, il contribuente proponeva appello avverso la sentenza n. 978 del 07.03.2017 emessa dalla CTP Pescara, con la quale i primi giudici avevano rigettato il ricorso proposto dallo stesso, confermando la cartella impugnata.

In particolare, l’appellante, così come anche nel ricorso introduttivo, lamentava la mancata motivazione in cartella relativamente al conteggio specifico degli interessi e dei compensi di riscossione, in violazione dell’articolo 20 D.P.R. 602/1973, dell’articolo 7 L. 212/2000, dell’articolo 42 D.P.R. 600/1973 e dell’articolo 7 L. 241/1990.

A parere dell’Agente della Riscossione invece, richiamando la sentenza della Suprema Corte di Cassazione 22997/2010, gli interessi indicati in cartella sono quelli ex lege iscritti, avendo la cartella di pagamento un contenuto vincolato, così come prescritto dall’articolo 25 D.P.R. 602/1973.

I Giudici di secondo grado, ribaltando l’esito del giudizio introduttivo in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente, ritengono invece debba essere obbligatorio indicare i criteri adottati nel calcolo degli interessi in cartella, pena la nullità della stessa.

Secondo consolidata giurisprudenza, la cartella di pagamento relativa ad un debito tributario deve essere adeguatamente motivata e completa di ogni elemento per permettere al contribuente di poter verificare la correttezza degli importi intimati nonché il calcolo degli interessi ed il relativo criterio applicato, non essendo sufficiente l’indicazione del solo ammontare globale degli interessi dovuti, con la conseguenza che è da ritenere nulla la cartella di pagamento che non riporta in maniera trasparente e comprensibile il calcolo degli interessi ivi applicati (Corte di Cassazione, ordinanza n. 10481 del 3.5.2018; sent. n. 8934/2014; n. 15554/2017; n. 24933/2016).

Tale obbligo deriva, in particolare, dai principi di carattere generale indicati dalla legge sul procedimento amministrativo (articolo 3 L. 241/1990) e dallo statuto del contribuente (articolo 7 L. 212/2000).

Difatti, dalla lettura dall’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (“…Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni     giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama…”), si può ricavare come l’obbligo di motivazione della cartella di pagamento deve intendersi esteso anche all’indicazione e alla comprensione delle modalità di calcolo degli interessi e dei compensi di riscossione di cui viene intimato il pagamento (Corte di Cassazione, sentenza n. 7056/2016)

In aderenza a tale orientamento, come detto, i giudici abruzzesi, ritenendo nulla la cartella nella quale viene indicata solo la cifra relativa agli interessi, senza indicazione di quale sia la data a partire dalla quale è stato eseguito il conteggio e quali tassi siano stati applicati, accolgono l’appello del contribuente, riformando la decisione di primo grado e condannando in solido l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate Riscossione a rifondere in favore del contribuente le spese del primo grado di giudizio.

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