12 Giugno 2019

Indagini bancarie e onere della prova alla luce della recente giurisprudenza

di Marco Bargagli
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In tema di accertamenti bancari, l’articolo 32, comma 1, n. 2) D.P.R. 600/1973 prevede che gli uffici delle imposte possono invitare i  contribuenti,  indicandone  il  motivo,  a  comparire  di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e  notizie  rilevanti ai  fini  dell’accertamento  nei  loro  confronti,  anche  relativamente  ai rapporti ed alle operazioni bancarie acquisiti ai sensi delle vigenti disposizioni di Legge.

In particolare, nell’ambito di una verifica fiscale, a fronte delle preliminari risultanze derivanti dall’esame dei conti correnti bancari intestati al contribuente ispezionato, lo stesso dovrà fornire all’Amministrazione finanziaria idonea prova per dimostrare che le somme a lui accreditate sono poi confluite nella propria dichiarazione dei redditi.

Infatti, la normativa sostanziale di riferimento comporta il sorgere di una “presunzione legale relativa”, in base alla quale:

  • i versamenti non giustificati accreditati sui conti correnti del contribuente rettificano in aumento la base imponibile in quanto considerati come maggiori elementi positivi di reddito;
  • i prelevamenti effettuati non risultanti dalle scritture contabili, se non viene indicato il beneficiario delle somme, si considerano maggiori ricavi o compensi con simmetrica rettifica del reddito.

Tuttavia, con esclusivo riferimento ai prelevamenti non giustificati, giova ricordare che la disposizione in rassegna riguarda i soli soggetti titolari di reddito di impresa, in quanto, per effetto delle disposizioni introdotte dal D.L. 193/2016, con effetto dal 3 dicembre 2016 non è più prevista la presunzione legale relativa ai prelevamenti non giustificati a carico dei professionisti.

Sotto il profilo operativo, sono stati diramati importanti chiarimenti proprio sul tema delle indagini finanziarie (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume II – parte IV – capitolo 5 “Le indagini finanziarie nel corso dell’attività ispettiva: disciplina generale e regole procedurali”, pag. 215 e ss.).

Il citato documento di prassi ha precisato che si fa ricorso alle indagini finanziarie ogni qualvolta venga ritenuta utile, opportuna o proficua la ricostruzione compiuta della posizione fiscale del soggetto.

L’uso di tale strumento operativo, a titolo esemplificativo e non esaustivo, sarà valutato in tutti i casi in cui si manifestino una particolare insidiosità o una significativa pericolosità fiscale, connesse a fenomeni evasivi caratterizzati, ad esempio, da:

  • fattispecie di grave inattendibilità, distruzione o occultamento della contabilità;
  • presenza di casi di frode fiscale o altre fattispecie penali tributarie, soprattutto se configuranti nel loro complesso condotte ripetute nel tempo e per importi significativi;
  • situazioni di evidente e significativa sproporzione tra le manifestazioni di capacità contributiva e redditi dichiarati.

La citata circolare 1/2018 illustra anche la rilevanza del meccanismo presuntivo previsto in subiecta materia: la disciplina delle indagini finanziarie prevede infatti uno specifico valore probatorio legalmente attribuito alle notizie e ai documenti ottenuti dall’Amministrazione finanziaria, sulla base della particolare procedura in esame.

Nello specifico, la caratteristica tipica del valore probatorio sopra citato è quella di configurare un’inversione dell’onere della prova, la quale si sposta dagli organi di controllo al contribuente: qualora, durante la fase di controllo, il soggetto verificato non riesca a dimostrare di avere tenuto conto dei dati risultanti nella documentazione finanziaria, i dati stessi possono essere automaticamente trasfusi nell’atto impositivo, senza operare alcun ulteriore approfondimento.

Circa l’onere della prova in tema di accertamenti bancari, si è recentemente espressa la suprema Corte di cassazione, sezione 6^ civile, con l’ordinanza n. 11810/2019 pubblicata in data 06.05.2019, nella quale sono stati anche illustrati gli adempimenti procedurali previsti a carico dell’Amministrazione finanziaria e del contribuente ispezionato.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa della CTR Toscana, a fronte di un avviso di accertamento con il quale veniva contestato soggetto economico di aver conseguito redditi di capitale non dichiarati risultanti dalle movimentazioni bancarie.

Il giudice del gravame, accogliendo la tesi del contribuente, ha rilevato che l’accertamento era fondato su semplici congetture, per quanto sensate, prive di riscontri oggettivi e, pertanto, della valenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, con conseguente mancato assolvimento dell’onere della prova della pretesa tributaria, gravante sull’Agenzia delle entrate, a prescindere dalla prova contraria fornita dal contribuente.

Di contro, gli ermellini hanno condiviso l’impostazione giuridica fornita da parte dell’ufficio finanziario, affermando un importante principio di diritto: la presunzione ex articolo 32 D.P.R. 600/1973 ha natura legale e, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 cod. civ. previsti, invece, per le presunzioni semplici (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 9078/2016 e n. 6237/2015).

Inoltre, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario sia fondato sulle verifiche dei conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’articolo 32 D.P.R. 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

Nel caso di specie l’Agenzia delle entrate, fornendo la prova che sul conto corrente intestato alla persona fisica erano confluite ingenti somme per accreditamenti bancari dall’estero, con causale dell’operazione “investimenti in beni e diritti immobiliari” ha dimostrato, in via presuntiva, la disponibilità in capo alla contribuente di maggiori redditi tassabili, per cui spetta a quest’ultima, sulla base di una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e pertanto privi di rilevanza fiscale.

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