20 Giugno 2019

Cfc: anche le attività di trading sono rilevanti?

di Marco Bargagli
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L’articolo 167 Tuir, rubricato “disposizioni in materia di imprese estere controllate”, contiene specifiche disposizioni antielusive che intendono contrastare la delocalizzazione, nello Stato estero di residenza, di imprese controllate che non svolgono una reale attività economica.

In buona sostanza, al ricorrere delle condizioni indicate nell’articolo 167, comma 4, Tuir, il reddito conseguito dal soggetto controllato viene imputato ai soggetti controllanti residenti in Italia, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili del soggetto controllato non residente da essi detenuta, direttamente o indirettamente.

Inoltre, in caso di partecipazione indiretta, per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, i redditi sono imputati a questi ultimi soggetti in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.

In merito, giova ricordare che esiste un’unica circostanza esimente che consente di disapplicare la normativa in rassegna.

Infatti, le disposizioni in materia di imprese estere controllate non si applicano qualora venga dimostrato che il soggetto controllato non residente svolge all’estero un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.

Ciò posto, si ricorda che la tassazione per trasparenza dei redditi prodotti oltrefrontiera opera quando, congiuntamente, le imprese estere controllate:

  • sono assoggettate a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero state soggette qualora residenti in Italia;
  • hanno conseguito, per oltre un terzo, proventi (risultanti dal conto economico) che rientrano in una o più delle seguenti categorie: interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari; canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale; dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni; redditi da leasing finanziario; redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie; proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente; proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente.

Le disposizioni domestiche prendono in gran parte spunto dalle raccomandazioni diramate dalle autorità comunitarie.

In merito, si cita l’articolo 8, comma 1, Direttiva comunitaria COM (2016) del 28.01.2016, recante “norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno”, nota agli addetti ai lavori come “Direttiva anti-Beps”, la quale ha previsto che rientrano nella nozione di passive income le seguenti categorie reddituali:

  • interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
  • canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale o permessi negoziabili;
  • dividendi e redditi derivanti dalla cessione di azioni;
  • redditi da leasing finanziario;
  • redditi da beni immobili, a meno che lo Stato membro del contribuente non abbia il diritto di tassare i redditi in applicazione di un accordo concluso con un paese terzo;
  • redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
  • redditi da servizi resi al contribuente o alle sue imprese consociate.

Infine, anche l’articolo 7, par. 2, della Direttiva UE 2016/1164 Atad prevede che qualora un’entità o una stabile organizzazione sia trattata come una società controllata estera, lo Stato membro del contribuente include nella base imponibile i redditi non distribuiti dell’entità o i redditi della stabile organizzazione rientranti nelle seguenti categorie:

  1. interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
  2. canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
  3. dividendi e redditi derivanti dalla cessione di azioni;
  4. redditi da leasing finanziario;
  5. redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
  6. redditi da società di fatturazione che percepiscono redditi da vendite e servizi derivanti da beni e servizi acquistati da e venduti a imprese associate, e aggiungono un valore economico scarso o nullo.

Per i servizi infragruppo (i.e. le prestazioni di servizi a valore economico scarso o nullo intercorse con altri soggetti del Gruppo), si dovrà fare riferimento alle tipologie di servizi a basso valore aggiunto descritte nell’articolo 7 D.M. 14.05.2018.

In particolare, sono definibili servizi a basso valore aggiunto quelli che:

  • hanno natura di supporto;
  • non sono parte dell’attività principale del gruppo multinazionale in quanto non sono idonei a creare attività profittevoli o contribuire ad attività economicamente significative del Gruppo multinazionale;
  • non richiedono l’uso di beni immateriali unici e di particolare valore, non portando alla creazione di beni immateriali unici e di valore;
  • non comportano l’assunzione o il controllo di un rischio sostanziale o significativo da parte del fornitore del servizio, né tantomeno generano in capo al medesimo l’insorgere di un rischio significativo.

Con particolare riferimento alle attività di trading esercitate nei confronti di imprese consociate, ci si chiede se le stesse possano rientrare nel novero dei passive income, alla stregua dei servizi infragruppo.

Sullo specifico punto l’Agenzia delle entrate, con la circolare 28/E/2011, ha fornito importanti chiarimenti in ordine al seguente quesito: “si chiede conferma dell’esclusione delle trading companies dalle tipologie di soggetti previsti dall’articolo 167, comma 8-bis, lett. b), del Tuir, anche relativamente alle operazioni di compravendita di merci e prodotti finiti effettuate (in nome e per conto proprio) con controparti appartenenti al medesimo gruppo. In sostanza queste operazioni possono non essere considerate servizi intercompany?”.

In merito l’Agenzia delle entrate ha risposto positivamente, affermando che l’attività indicata nel quesito, rappresentata nelle sue caratteristiche essenziali, non esclude, in sostanza, la configurabilità di una prestazione di servizi. Tuttavia, eventuali elementi idonei ad escludere in concreto la sussistenza di una situazione elusiva potranno essere valutate in relazione al singolo caso.

In definitiva, anche le attività di compravendita di beni, nella nuova declinazione fornita dall’articolo 167, comma 4, lett. b), n. 6, Tuir, potrebbero potenzialmente generare proventi di tipo passivo (rectius passive income) rilevanti ai fini della Cfc Rule.

La fiscalità internazionale in pratica