Fatture per operazioni inesistenti: occorre verificare l’operatività del cliente
di Marco BargagliIl nostro ordinamento giuridico prevede particolari disposizioni che sanzionano, a livello penale tributario, l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Lo schema evasivo viene realizzato mediante l’utilizzo di società “cartiere” – meri soggetti interposti – privi anche di una minima struttura operativa, locali, attrezzature e dipendenti, costituite al solo scopo di evadere le imposte creando, in capo al cessionario, un credito Iva inesistente.
Come noto il D.L. 16/2012, nell’ambito della c.d. “disciplina dei costi da reato”, ha introdotto importanti disposizioni sul tema della indeducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo nonché delle sanzioni applicabili a fronte dell’utilizzo di componenti reddituali negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati anche nel contesto delle frodi fiscali.
In particolare, per effetto delle modifiche intervenute con il citato D.L. 16/2012:
- ai fini Iva, l’imposta assolta sugli acquisti derivanti da fatture per operazioni inesistenti (oggettivamente e soggettivamente), risulta oggettivamente indetraibile;
- ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi alle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, a fronte di un reale acquisto della merce sono deducibili dal reddito di impresa, rimanendo soggetti unicamente al vaglio dei requisiti previsti dalla normativa di riferimento (certezza, inerenza, competenza dei costi sostenuti).
L’Agenzia delle entrate, con la circolare 32/E/2012, ha illustrato la disciplina in rassegna specificando che, per quanto riguarda le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ai fini fiscali l’indeducibilità delle spese non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, tenuto conto che la norma circoscrive l’indeducibilità dal reddito d’impresa ai soli costi e spese direttamente utilizzati per il compimento dei delitti.
Di conseguenza i costi relativi all’acquisizione di beni o servizi, anche riferiti a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, risultano deducibili dal reddito d’impresa solo qualora vengano riscontrati i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti, in particolare, dall’articolo 109 Tuir.
Sul punto, come chiarito dal citato documento di prassi, nel caso di fattura soggettivamente inesistente a fronte di un acquisto di merce finalizzato al compimento di una frode in ambito Iva, il costo esposto in fattura – effettivamente relativo all’acquisto della merce – non rappresenta l’onere sostenuto per porre in essere la frode Iva.
Quindi, una volta verificati tutti i requisiti previsti dal Tuir (i.e. inerenza, certezza e obiettiva determinabilità, competenza economica), il costo della merce sarà deducibile.
Di contro, i costi derivanti dall’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti risultano indeducibili dal reddito d’impresa indipendentemente da qualsiasi connessione degli stessi con fattispecie delittuose, in quanto relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati.
In merito giova ricordare che, sia per le imposte dirette, che ai fini Iva, l’inesistenza della fattura può essere oggettiva, laddove la stessa documenti operazioni in realtà mai avvenute, in tutto o in parte, ovvero soggettiva, qualora l’operazione documentata sia in realtà intercorsa fra soggetti diversi da quelli risultanti dalla fattura medesima (cfr. circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume 2, pagina n. 147).
Nell’ambito della frode fiscale, interessanti spunti ermeneutici riferiti al riparto dell’onere della prova sono rinvenibili nella sentenza n. 6476/2018 del 27.09.2018 emessa dalla Commissione tributaria regionale del Lazio che ha imposto, in capo all’Amministrazione finanziaria, oneri rafforzati anche nella particolare ipotesi di utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti.
Gli elementi richiamati da parte dell’Ufficio finanziario a sostegno della pretesa erariale erano i seguenti:
- la società ha omesso di presentare le dichiarazioni dei redditi e dell’Iva per i periodi d’imposta 2003/2010 e il modello 770;
- la stessa non risulta aver effettuato acquisti, né possiede posizioni previdenziali aperte, circostanza che farebbe desumere che la medesima società sia priva di struttura organizzativa e funzionale.
Ciò posto, a parere del giudice del gravame, che ha accolto il ricorso del contribuente, gli elementi indiziari raccolti da parte dell’ufficio finanziario non erano sufficienti.
In merito, l’Agenzia delle entrate ha agito solo sulla base di un controllo formale e contabile, senza tuttavia effettuare alcuna concreta verifica finalizzata ad accertare se la ditta fornitrice avesse o meno eseguito le prestazioni indicate in fattura.
Infatti anche nel corso del giudizio penale (ove l’imputato era stato assolto), era emerso che:
- la ditta individuale fornitrice aveva esibito copia degli assegni ricevuti in pagamento delle prestazioni offerte;
- nessun accesso era stato eseguito presso il fornitore dei servizi per verificare la consistenza della società ovvero la presenza di attrezzature asseritamente noleggiate nei locali della società;
- le testimonianze, formalizzate in atti, avevano confermato l’esecuzione di alcuni lavori.