La violazione dell’obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali
di Luigi FerrajoliCon la recente sentenza n. 26417 depositata in data 14.06.2019, la Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine ad una contestazione di reato per omessa comunicazione di ogni variazione patrimoniale non inferiore ad Euro 10.392,14 – previsto dagli articoli 76, comma 7, e 80 D.Lgs. 159/2011, in relazione all’acquisto di una autovettura.
In particolare, l’articolo 80 D.Lgs. 159/2011 prevede, al comma 1, che “le persone già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Entro il 31 gennaio di ciascun anno, i soggetti di cui al periodo precedente sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando concernono complessivamente elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani”.
La persona indagata era gravata dagli obblighi di comunicazione perché sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Il Tribunale del Riesame, decidendo a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, aveva rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse del’indagato, confermando così il decreto di sequestro preventivo anche per equivalente emesso dal GIP presso il Tribunale relativamente all’autovettura di proprietà dell’istante.
Avverso il provvedimento in questione l’indagato aveva promosso ricorso avanti la Suprema Corte lamentando la mancata osservanza, da parte del giudice del rinvio, delle indicazioni del Giudice di legittimità circa la necessaria verifica della sussistenza dell’elemento psicologico del reato ascritto al ricorrente.
Secondo la ricostruzione di quest’ultimo, infatti, il medesimo, detenuto in ragione dell’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, eseguita solo quattro giorni dopo l’acquisto dell’auto che sarebbe oggetto dell’omessa comunicazione, era nell’impossibilità materiale di adempiere al dettato normativo, versando dunque in ipotesi di condotta non esigibile per causa di forza maggiore che avrebbe impedito l’adempimento dell’obbligo.
Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso perchè “aspecifico” e affetto da genericità estrinseca.
Secondo quanto considerato dal Giudice di legittimità, il Tribunale del rinvio aveva infatti risposto alle indicazioni stabilite dalla decisione della Prima Sezione della Corte di Cassazione, motivando espressamente e specificamente sulla irrilevanza dello stato di detenzione ai fini della configurabilità del reato.
Come correttamente specificato dal Giudice, la condizione di detenzione non rappresentava, infatti, una causa impeditiva assoluta di qualsiasi forma di comunicazione esterna, ben potendo il ricorrente adempiere anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto dalla disciplina del D.Lgs. 159/2011, cosa che, invece, non è avvenuta.
Secondo la Corte, lo stato di detenzione non esclude i soggetti ristretti dall’esercizio dei loro diritti e doveri elementari o necessari, “magari sanciti anche da norme di legge che prevedono obblighi al cui inadempimento segua addirittura la configurabilità di un reato”.
Il nostro sistema giuridico prevede chiaramente e indiscutibilmente la possibilità, per il detenuto, di adempiere ai propri obblighi e di esercitare i propri diritti basilari, nelle forme ovviamente consone allo stato di detenzione.
Quanto alla eccepita condizione di analfabetismo dell’indagato, il Collegio ha rilevato che la regola dell’ignoranza inevitabile non è applicabile con riferimento alle norme contestate al soggetto ricorrente, in quanto perfettamente comprensibili, soprattutto da un soggetto che “non è certo nuovo ad esperienze di impatto con la legislazione penale, più volte violata così come più volte egli è stato sottoposto a procedimenti di prevenzione”.
Sotto tale profilo – ha evidenziato la Corte di Cassazione – il Tribunale del Riesame aveva correttamente chiarito che il ricorrente non poteva essere considerato uno “sprovveduto”, incapace di comprendere la portata di un precetto penale, benchè analfabeta, in ragione della sua condizione di soggetto da tempo sottoposto a processi penali.
Anche quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico, la giurisprudenza di legittimità richiamata dal Collegio ritiene pacifico che il “coefficiente soggettivo” del delitto in questione sia integrato dal dolo generico, che si esaurisce nella coscienza e volontà di omettere le comunicazioni previste dalla norma e non si estende sino alla volontà specifica di occultare alla polizia economico-finanziaria le informazioni dovute.