24 Luglio 2019

Il mutuo non esclude, ma diluisce la capacità contributiva

di Angelo Ginex
Scarica in PDF

In tema di accertamento sintetico, il mutuo stipulato per l’acquisto di un immobile non esclude, ma diluisce nel tempo la capacità contributiva, sicché dalla spesa accertata deve essere detratto il capitale mutuato, dovendo invece sommarsi, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturato e versati. È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 19192 del 17.07.2019.

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, mediante il quale l’Amministrazione finanziaria procedeva a determinare sinteticamente maggiori redditi in relazione ad incrementi patrimoniali conseguenti all’acquisto di quote di una società e all’acquisto di un fabbricato, con contestuale stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario di pari importo rispetto al cespite.

All’accoglimento del ricorso del contribuente da parte dei giudici di prime cure, faceva seguito anche l’accoglimento dell’appello del contribuente da parte dei giudici di seconde cure, i quali, tuttavia, si premuravano di precisare che la stipulazione del mutuo doveva essere considerata un elemento presuntivo di capacità contributiva.

A detta statuizione faceva, dunque, seguito il ricorso per cassazione del contribuente, il quale, tra gli altri profili di doglianza, contestava la violazione e la falsa applicazione di legge, ex articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per erronea applicazione dell’articolo 38, commi 4 e 5, D.P.R. 600/1973, dacché il mutuo contratto non avrebbe forza presuntiva di una maggiore capacità contributiva, essendo stato destinato all’acquisto di un immobile, come altresì rilevato dal giudice del gravame.

Pertanto, ne deriverebbe la completa inesistenza di capacità contributiva derivante dal mutuo, acceso al precipuo scopo di acquistare l’immobile e testimoniato anche dall’uguaglianza tra il fido e il valore del cespite.

La Corte di Cassazione, ritenendo fondato il ricorso del contribuente, ha avuto modo di riaffermare l’incidenza del contratto di mutuo nella rettifica sintetica del reddito delle persone fisiche.

Ripercorrendo le tappe processuali, essi hanno rilevato come il giudice di primo grado e quello d’appello avessero erroneamente sancito, l’uno, che la stipulazione di un mutuo di pari importo al prezzo da pagarsi fosse di per sé sufficiente a giustificare l’acquisto del bene e, l’altro, che l’accensione di un mutuo costituisse una mera anticipazione di denaro non idonea a privare di forza presuntiva l’atto.

Quanto proprio a quest’ultimo profilo, tuttavia, i giudici di legittimità hanno chiarito che, in caso di accertamento sintetico sull’acquisto di un immobile a seguito di mutuo, costituisce idonea prova contraria, di cui all’articolo 38, comma 6, D.P.R. 600/1973, anche la mera produzione di un contratto di mutuo, atto a dimostrare la provenienza non reddituale delle somme utilizzate per l’acquisto dell’immobile (cfr. Cass., n. 31124/2018).

Non è necessario, dunque, dimostrare anche le motivazioni dell’erogazione e le garanzie che ne supportano la sussistenza.

Va in ogni caso chiarito, contrariamente a quanto perorato dal ricorrente, che qualora l’Amministrazione finanziaria proceda a determinare sinteticamente il reddito netto in relazione a una spesa derivante da incrementi patrimoniali e il contribuente eccepisca l’esistenza di un mutuo ultrannuale a giustificazione dell’esborso, detto mutuo non è valido ad escludere integralmente la capacità contributiva del contribuente ma la spalma nel tempo.

Da ciò consegue che, da un lato, occorre detrarre dalla spesa accertata per gli investimenti patrimoniali l’intero capitale richiesto a mutuo e, dall’altro, occorre però aggiungere al reddito accertato, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturato e versati (cfr. Cass., n. 19371/2018; n. 4797/2017; n. 24597/2010).

Quindi, nel caso di specie, pur avendo riconosciuto l’esistenza di un mutuo di importo corrispondente al valore del cespite acquistato, erroneamente il giudice d’appello non ha diluito la capacità contributiva del contribuente, ma ne ha accertata l’integrale sussistenza nel periodo d’imposta accertato, non conformandosi così ai principi più volte illustrati dai giudici di legittimità.

Alla luce di quanto esposto, dunque, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, cassando la sentenza d’appello con rinvio al giudice di seconde cure in differente composizione per una decisione conforme al principio di diritto riportato in epigrafe.

Conversione del decreto crescita, ISA e novità dell’estate