I limiti temporali del sequestro cautelare di somme sul c/c
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 30414 del 2019, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di sequestro cautelare, con specifico riferimento all’elemento temporale.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame aveva rigettato l’impugnazione proposta dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti del medesimo ed alla confisca diretta nei confronti della società di cui l’indagato era amministratore unico, in relazione al reato di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.
Avverso tale ordinanza l’indagato promuoveva ricorso per Cassazione, lamentando l’illegittima estensione del vincolo cautelare anche alle somme pervenute sui conti della società dopo l’emissione del decreto di sequestro. Secondo il ricorrente, infatti, quanto era affluito dopo la disposizione del vincolo non poteva rientrare nella nozione di profitto del reato.
La Suprema Corte, ha accolto il ricorso per tale motivo, richiamando precedenti principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 10561/2014, avevano affermato al riguardo che, nei confronti di una persona giuridica, è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto, oppure i beni direttamente riconducibili al profitto, siano nella disponibilità di detta persona giuridica.
Inoltre, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, “è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario”
Nel caso in cui il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta e non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato.
La natura fungibile del bene, che si confonde con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, perde qualsiasi connotato di autonomia sulla identificabilità fisica, rendendo superfluo accertare se il denaro percepito quale profitto o prezzo dell’illecito sia stato speso, occultato oppure investito. Secondo le Sezioni Unite, ciò che rileva è che “le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo“.
La natura fungibile del denaro, tuttavia, non consente la confisca diretta delle somme depositate sul c/c dell’imputato, “ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito”.
Infatti, qualora le somme non possano derivare dal reato, “non sono sottoponibili a sequestro difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro in via diretta”.
È dunque illegittima l’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio dell’imputato in base ad un titolo lecito, o in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, se non risulta provato che tali somme siano collegabili, anche indirettamente, all’illecito commesso.
La confisca diretta può avere ad oggetto un importo di pari entità presente nei conti bancari o nei depositi nella disponibilità dell’autore del reato, purchè si tratti di denaro già confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento.
Solo così è possibile sostenere la sequestrabilità del denaro, poi confiscabile in via diretta, “indipendentemente da ogni verifica in ordine al rapporto di concreta pertinenzialità con il reato, perchè tale relazione è considerata in via fittizia sussistente proprio per effetto della confusione del profitto concretamente conseguito con tutte le altre disponibilità economiche del reo”.
Pertanto, nel caso in esame, la Corte ha rilevato che il vincolo cautelare avrebbe colpito somme che risultavano percepite in maniera cronologicamente scollegata con l’illecito commesso e, dunque, “per poter essere qualificate come profitto accrescitivo, cioè come disponibilità monetaria accresciuta in conseguenza del profitto del reato, assume rilievo la prova che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituiscano un risparmio di spesa conseguito a seguito della commissione del reato tributario”.